Il Fiano di Avellino di Laura De Vito
Laura De Vito ha un motto: «essere prima di apparire». Lo ripete ogni volta che può, per ricordare a sé stessa e agli altri che sono i fatti a fare la differenza in un percorso che si possa definire di qualità. Lei e suo marito Carmine De Maria sono l’anima e la mente di questa azienda che vuole puntare in alto. Sono loro due a condurre la cantina trascinati dall’entusiasmo per le cose buone, per la terra e per i suoi frutti. Come terra nella quale far germogliare i propri sogni hanno scelto Lapio, in provincia di Avellino, e come vitigno il principe dell’Irpinia: il Fiano, di cui ne coltivano all’incirca dieci ettari.
Parlando un po’ di storia, furono i Greci a portare in Italia la “Vitis Apicia”, ossia l’originario vitigno del Fiano, e a piantarlo proprio a Lapio. Il nome le venne dato per via di quella sua caratteristica organolettica che la contraddistingue da tutte le altre: un’uva dal profumo talmente dolce da attirare sciami di api nelle vigne. Nel tentativo di trovare documenti che attestassero la cronologia del Fiano, sono stati trovati atti del dodicesimo secolo che ne parlano. Si tratta di ordini di acquisto fatti dalla corte di Federico II di Svevia e relativi al periodo in cui l’imperatore si trovava a Foggia. L’importanza di Lapio come centro vinicolo comincia a diffondersi e nel 1800 avviene il primo grande exploit produttivo, con il traguardo di cento milioni di litri che ergono la viticoltura a economia portante dell’Irpinia, al punto da stimolare la costruzione della prima ferrovia della provincia di Avellino. A questo si aggiunge l’apertura della Regia scuola di viticoltura ed enologia (attuale Istituto tecnico agrario), che consente di fornire alla zona un supporto tecnico-scientifico di prim’ordine. Purtroppo, come quasi in tutto il resto d’Italia, la fillossera interverrà a devastare quella che allora era un’importante realtà produttiva nazionale; e nel 1950, mentre l’Office international du vin pubblica lo studio ampelografico sul Fiano, dandogli così il meritato attestato di qualità a livello internazionale, allo stesso tempo gli autori sono costretti a constatare che la viticoltura del territorio è oramai ridotta al lumicino. Dopo anni di difficile risalita, oggi questo vino si sta nuovamente ricavando uno spazio di assoluto livello, con le vigne che occupano circa 560 ettari della provincia avellinese, che si concretizzano in 2,3 milioni di bottiglie prodotte ogni anno.