Il festoso e caloroso omaggio della città di Rimini al sovrano

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Alle otto del mattino di lunedì 22 luglio 1918 S. M. Vittorio Emanuele III arriva in automobile, con il suo seguito, al sanatorio Comasco da oltre un anno trasformato in ospedale della Croce rossa americana. Ad attenderlo ci sono lo statunitense capitano Stanley Lothrop, il sindaco di Rimini Adauto Diotallevi, i parlamentari Facchinetti e di Bagno e uno stuolo di autorità e di alti funzionari dello Stato. Con la sosta al Comasco ha inizio la visita del re alla città. Siamo al terzo anno di guerra e Rimini, pur essendo lontana dal fronte, avverte più di altre città i disagi del difficile momento: nel 1915 ha ricevuto il battesimo del fuoco, bombardata sia dalle navi che dagli aerei austriaci; nel 1916 è stata colpita da un disastroso terremoto e dal novembre del 1917 accoglie migliaia di sfollati con i quali è costretta a condividere gli stenti di una gravosa condizione economica. La presenza del sovrano è la testimonianza dei sacrifici compiuti dalla città. A Rimini Vittorio Emanuele è già venuto nel 1888. In quella occasione l’allora diciannovenne Principe di Napoli accompagnava il padre Umberto: l’accoglienza che la popolazione tributò al suo genitore fu strepitosa. Dopo 30 anni, ritorna da re e, dato il particolare frangente, come “Primo soldato d’Italia”. Il resoconto della giornata, ampio e particolareggiato, è riferito dal Corriere Riminese del 26 luglio e da L’Ausa del 27 luglio. Quanto segue è la sintesi dei due giornali. Dopo la tappa al Comasco, il corteo reale si muove lungo la litoranea e alle 9,45 giunge sul piazzale del Kursaal dove una massa di oltre 600 bambini attende allineata sulle gradinate. Sono gli alunni dell’Asilo Baldini, gli orfani di guerra e i figli dei richiamati e degli sfollati. Indossano maglie rosse listate di bianco. Ogni gruppo ha il compito di offrire all’illustre ospite un mazzo di fiori e recitare un pensierino. Il cerimoniale allo Stabilimento Bagni, simbolo di quell’industria turistica bloccata da quattro anni, si dilunga nei discorsi. I fanciulli, immobili da oltre due ore, si spazientiscono e qualcuno, di tanto in tanto, rompe le righe “infrangendo” l’ordinata coreografia. Ad un tratto un bimbo ha la bella idea di lanciare per aria un fiore. Il gesto è contagioso. Nel volgere di qualche attimo inizia una divertente “battaglia” che appaga in pieno il desiderio di movimento e di allegria dei piccoli. La scaletta del programma, minuziosamente preparata, va a farsi friggere. Dopo il Kursaal il re fa una breve sosta al porto, poi la colonna delle automobili riprende il percorso imboccando l’ampio viale Principe Amedeo. Nei pressi del passaggio a livello, tra i filari di platani, spicca un gigantesco stemma sabaudo. Superata la ferrovia, l’accoglienza a Vittorio Emanuele III assume aspetti clamorosi. L’Ausa parla di una dimostrazione popolare «oltre ogni dire: entusiastica, spontanea, cordialissima, trionfale». Mai si era visto tanto calore. Bandiere, festoni e drappi addobbano le finestre e i balconi di tutte le case. Il corteo reale raggiunge la stazione, poi, passando attraverso ali di folla plaudente percorre via Dante, via Patara, via Serpieri, il corso d’Augusto, la piazza Giulio Cesare e si ferma in piazza Cavour. Qui «l’entusiasmo è indescrivibile», annota il Corriere Riminese. La piazza è affollatissima. Appena la banda musicale intona la Marcia reale «scoppia un uragano di applausi; si agitano i fazzoletti e i cappelli; migliaia di braccia si sollevano e si muovono in segno di entusiastico saluto; piovono fiori dai balconi e dalle finestre». È tutto un gridare «Viva il nostro re! Viva il valoroso sovrano! Viva il padre dei nostri soldati!». Le guardie di pubblica sicurezza, i pompieri e i «giovani esploratori in divisa», preposti al “servizio d’ordine”, stentano a frenare l’irruenza della folla. L’automobile reale viene circondata, quasi assalita, dal popolo acclamante e a stento riesce a raggiungere la residenza municipale. Nelle sale del palazzo comunale gremito di invitati il re «stringe calorosamente la mano» al vescovo di Rimini, Vincenzo Scozzoli, che gli presenta l’omaggio del clero della diocesi e gli rivolge «fervidi auguri di piena e sollecita vittoria». Le ovazioni sempre più insistenti che provengono dalla piazza costringono Vittorio Emanuele «a presentarsi più volte al balcone» e a ricevere l’omaggio caloroso del popolo che continua a gridare «Viva il re! Viva la casa Savoia! Viva l’Italia». Dopo aver fatto il giro delle sale dei palazzi comunali, visibilmente segnati alle pareti dalle crepe del terremoto, il sovrano – sempre attorniato dai cittadini e sotto una fitta gradinata di fiori – si reca all’ospedale civile. Uscito dal nosocomio il corteo prende la direzione del borgo San Giuliano, dove a dare il saluto di congedo a Vittorio Emanuele III si è riversata tutta la città. Una folla, scrive L’Ausa, appartenente «a tutte le classi, a tutte le condizioni, a tutti i partiti; era tutta Rimini che nell’ora più grande della Patria si fondeva, si univa in un solo pensiero, in un solo sentimento e voleva testimoniare al re, personificante l’Italia non solo la gioia per la visita desiderata, ma ancora la fiducia e l’ammirazione per l’esercito, la ferma speranza dell’immancabile trionfo della giustizia e del diritto». E di nuovo le urla di «Viva il re! Viva l’esercito!».

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