Il Dante di Mercadini è più nobile che volgare

Roberto Mercadini (1978) da Sala di Cesenatico, autore, poeta, affabulatore, celebra l’anno dantesco con il nuovo monologo Dante. Più nobile è il volgare da lui scritto.

Dante è un poeta che accompagna molti studenti nel percorso di formazione; è cambiato Mercadini il suo rapporto con l’Alighieri dagli anni giovanili?

«Sì, è cambiato. Perché Dante è un mondo in cui si possono mettere a fuoco molte cose; avevo già fatto un monologo a 28 anni; in quel caso mi aveva colpito la forza, la potenza espressiva di determinati versi e passaggi di Dante, l’avevo percepito in modo intuitivo. Quindici anni dopo ho scelto un punto di vista concentrato su un aspetto preciso, il linguaggio; i passi che già conoscevo hanno rivelato aspetti mai considerati prima».

Il suo monologo ruota attorno a un unico tema?

«Dante è un mondo vastissimo dove puoi commentare qualsiasi cosa; così facendo però il percorso, pure affascinante, può diventare dispersivo. Concentrarci su di un aspetto preciso può consentire un viaggio coerente; tassello dopo tassello si compone un’immagine più definita. Ho capito che uno dei cuori di Dante era il linguaggio, un filo conduttore che attraversa l’intera Divina Commedia. Che è disseminata di riflessioni, immagini, dichiarazioni d’amore verso il linguaggio».

Qualche esempio?

«Dante definisce l’Inferno come un luogo “muto di luce” a significare che è buio. Qualunque cosa positiva è metaforicamente o letteralmente per lui parola, quindi anche la luce. Quando poi chiama Paolo e Francesca, dice “mossi la voce”; la voce è qualcosa che si muove, il linguaggio è qualcosa che agisce. E ancora, alla soglia del IX cerchio (XXXI canto dell’Inferno), il gigante biblico Nimrod che Dante chiama Nembrot ha il supplizio terribile di parlare una lingua che nessuno conosce, mentre non comprende la lingua di alcuno. Fino all’VIII cielo del Paradiso, quando Dante incontra Adamo; fra tante possibili domande, gli chiede quale lingua parlava nel paradiso terrestre. Il Conte Ugolino poi riconosce la parlata di Dante “fiorentina” distinguendola dalla sua pisana; proprio come, da romagnolo, io distinguo l’accento cesenate da quello riminese o forlivese».

Qual è invece un giusto approccio per avvicinare Dante a un pubblico ignaro del poeta, giovani compresi?

«Anche in questo caso punterei sul linguaggio, nel senso che la lingua tocca tutti. La lotta tra guelfi e ghibellini, papa Bonifacio VIII, l’aspetto dottrinale, filosofico e religioso, può non interessare. Il tema della lingua invece è vivo, perché tutti abbiamo a che fare con le parole, tutti siamo feriti dalle parole quando ci insultano, o siamo rincuorati quando ci incoraggiano, ci fanno ridere e ci commuovono. Tutti parliamo e dunque la lingua è un tema sempre nuovo, ed è universale».


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