Il coreografo Emio Greco al Ravenna Festival con "We, the eyes"

È un ritorno al Ravenna festival da non perdere, quello di Emio Greco, stasera alle 21 al teatro Alighieri; ed è una prima assoluta quella di “We, the eyes” semplicemente “Noi, gli occhi” secondo capitolo di quattro; fa seguito a “Noi, il respiro” e precede i prossimi “Noi la lussuria” e “Noi gli idioti”. È dunque un progetto dal lungo percorso che spinge, ci dice lo stesso coreografo, «alla responsabilità coscienziosa di vedere, di riuscire a distinguere, di capire quello che ci accade attorno».
Il coreografo pugliese, olandese di adozione, lo ha creato per un ensemble di danzatori della Ick Dans, compagnia da lui fondata nel 2009 con Pieter C. Scholten condirettore e coautore. Conclusi i quattro anni al Balletto di Marsiglia nel 2019, Greco ha ripreso in mano l’Ick con più cura e ricerca, sempre aperta a una danza visionaria in dialogo con altri linguaggi. Così stasera, per la prima ravennate, sul palco si muovono 11 artisti: 7 danzatori, Greco con un proprio cameo, due percussionisti e una cantante.
Greco, cosa vogliono vedere questi occhi?
«Ci riferiamo a un occhio interiore, e dunque a un ritorno all’origine per ritrovare un corpo intuitivo, che non analizza le cose del mondo basandosi solo sulla tecnologia, ma recupera un’intelligenza fisica sensoriale ed empatica che sembra venuta a mancare. Questo nostro occhio interiore ha un sapere intimo e spinge il corpo a muoversi con un intuito che si nutre pure di tatto, di odorato, di altre sensazioni che vuole risvegliare».Perché lo inserisce in un progetto che comprende quattro distinti lavori, tutti con la parola noi?
«I quattro capitoli del percorso ci permettono di allungare lo sguardo, il respiro, con una progettualità che va oltre il momento, ma immagina un qualcosa per il dopo, che progetta, che crea un ponte fra il momento che si vive e ciò che sarà per costruire con più solidità qualcosa di nuovo in cui identificarsi. Il progetto “We” fa anche seguito ai cambiamenti che ci stanno opprimendo, pandemia, ambiente, guerre, che ci portano a una società che vive di incertezze avendo constatato la fragilità di un mondo che pensavamo fosse domato dall’uomo. Insidie talmente enormi che potremo controbattere solo partendo da noi, ma solamente insieme agli altri. Da qui è uscito l’abbraccio del noi».Lo fa partendo da una danza vera che pure ingloba altri linguaggi, o la danza diventa marginale come sta avvenendo in tante creazioni contemporanee?
«Il punto di partenza per me è il corpo e la danza che il corpo riesce a produrre unendo un respiro, un ritmo, un pensiero per cui il movimento si articola e diventa danza. Che è sorgente di informazione e di ispirazione anche per altri campi che vengono esplorati. Il corpo mette in movimento delle visioni; qui c’è la forza delle percussioni di Xenakis, la 7ª di Beethoven, ma anche i Pink Floyd del famoso concerto a Pompei, simbolo di rovina e di rinascita».Info: 0544 249244