I funerali di Pino Parini: una vita come un'opera d'arte

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«I ricordi mi si accavallano, eravamo molto legati da amicizia e da interessi culturali». Esordisce così un emozionato Vittorio D’Augusta ricordando Pino Parini, artista, scienziato, insegnante morto sabato a Rimini a 99 anni. «Lo conoscevo da una vita, era un uomo molto buono, di grande umanità, e dotato di valori artistici, portato ad approfondire, lontano da ogni retorica. Capace anche di leggerezza e autoironia. È stato un innovatore anche nella didattica, una figura di artista veramente originale, ha dato più importanza a didattica e ricerca scientifica e pensiero, quasi decidendo di non percorrere l’arte nel senso più comune, nel senso di produrre quadri, oggetti, ma tutta la sua vita si può dire sia stata un’opera d’arte».

Un precursore?

«Le sue ricerche sulla cibernetica, iniziate in anticipo, nei primi anni Sessanta, forse ancor prima, oggi si rivelano molto attuali. Quelle idee di tanti anni fa sul tema della macchina pensante – quel progetto visionario di Silvio Ceccato, con cui ha strettamente collaborato – si legano alla IA di oggi. Pino ha sempre colto il legame tra arte e scienza, fondamento di tutta la sua ricerca».

Ha un rammarico?

«Di non averlo salutato recentemente».

Il suo ultimo ricordo?

«Sono andato a trovarlo diversi mesi fa e l’ho trovato come sempre, tra carte e libri, un accanito lettore, uno studioso, minuzioso nella lettura, prendeva nota, sottolineava, discuteva. Lo vedevo come un immortale, sono rimasto molto male, sapevo del suo vicino compleanno, il 25 gennaio avrebbe raggiunto il secolo, avremmo tutti festeggiato. L’ho visto sempre uguale, gli anni sono passati, ma lui aveva questo atteggiamento verso la vita di grande umanità e, nello stesso tempo di distacco, quasi un pensiero zen, da monaco tibetano, una persona che da una parte è come un’isola, e dall’altra è dentro ai problemi importanti del mondo».

Cosa caratterizzava l’uomo Pino Parini?

«La generosa umanità; non ho mai colto, ciò che talvolta accade tra artisti, screzi, rivalità, o quelle piccole cose da sottobosco del mondo dell’arte, era al di sopra di queste faccende, mai sentito in lui qualche rancore o moto di avversione. I contrasti, le battaglie, c’erano, ma erano di natura intellettuale, contro gli stereotipi, le false verità, i dogmatismi. Sempre pronto a discutere, disponibile. Ho un ricordo personale in merito, non molto tempo fa gli ho dato da leggere un mio testo abbastanza lungo, una ottantina di pagine, il giorno dopo mi ha telefonato, aveva letto tutto e commentato, mi sono meravigliato, a quell’età così pronto e veloce».

Parini è stato molto amato dai suoi studenti.

«È stato un grande didatta, il suo grande interesse è andato in quella direzione, ha colto i problemi fondamentali della didattica, cioè contrastare i luoghi comuni, le troppo comode “certezze”, ma anche pronto a stupirsi, molto fertile, pieno di idee da comunicare agli altri. Una vasta schiera di insegnanti di materie artistiche gli è debitrice e grata. Ha scritto, insieme al noto critico Maurizio Calvesi, un importante testo, Il linguaggio visivo, per anni adottato nelle scuole».

Un ricordo particolare?

«L’ultimo incontro “ufficiale” è stato in occasione della mostra che il Comune di Brisighella, sua città natale, gli ha dedicato. Sono passati diversi anni, era molto contento di quell’omaggio e soprattutto della vicinanza di tanti amici. Era una persona umile, spartana, non inseguiva né le apparenze della mondanità né quelli che banalmente sono detti successi, gli interessava il rapporto vero con la cultura, con il pensiero dell’arte e della scienza. Meriterebbe una grande mostra che metta in luce opere, lavori, documenti, indagini e che testimoni un “metodo di lavoro” e la coerenza di una ricerca mai legata al problema estetico fine a se stesso, ma rivolta ai meccanismi del pensiero idonei a comprendere l’operazione estetica. Fin dagli inizi, era stato affascinato dalla complessità della filosofia di Kant, lo aveva studiato e aveva cercato di rendere visibili quelle teorie».

Una operazione non da poco, complessa, originale.

«...Eh sì, pensare di visualizzare dei concetti filosofici è una cosa fuori del comune, eccezionale e avveniristica. Ma già quei suoi vecchi lavori su Kant, così suggestivi e originali, preannunciavano le intenzioni di quel connubio tra arte, scienza e filosofia che avrebbe caratterizzato tutta la sua ricerca. Credo che al nocciolo del suo lavoro sia l’aspirazione alla “consapevolezza”. Non la conoscenza come accumulo di informazioni, ma come strumento mentale in grado di capire qualche “verità” di sé stessi e di come vanno le cose al mondo. Dunque la consapevolezza anche come strumento di difesa contro gli inganni dei luoghi comuni, delle convinzioni dogmatiche e anche della banale e superficiale erudizione. Trasmettere ai giovani questo desiderio, questa speranza di verità, era al centro della sua didattica. Il mondo dell’arte spesso cade nelle mode, nelle apparenze, nel mercato, il sistema dell’arte non è così puro, la stessa parola sistema è brutta, dà un’idea negativa. Pino non era dentro il cosiddetto sistema, ne stava giustamente fuori, perché faceva un lavoro dentro se stesso, ma utile agli altri. Un fatto di generosità».

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