I club, i giocatori e gli stipendi: la verità la dice solo il campo

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“Io dico sempre ai giocatori che non devono imbrogliare la professione e quindi di dare ogni volta il 100%”. Questa frase, a firma di un grande ex atleta ed ora allenatore come Sasha Djordjevic, ci sembra l’introduzione migliore per un tema che fa tradizionalmente molto discutere. E tornato in questi giorni “di moda”, almeno nella Romagna cestistica, per le vicende dell’Andrea Costa Imola Basket, i cui tesserati hanno denunciato attraverso un comunicato Giba (il sindacato giocatori) forti ritardi nel pagamento degli stipendi. Alzi la mano chi, in tanti anni di onorata carriera da tifoso, giornalista o semplice curioso, di fronte ad un momento reiteratamente negativo della propria o altrui squadra del cuore, almeno una volta non abbia pensato “Ma li staranno pagando?”. Siamo pronti a scommettere che di mani alzate ne vedremmo quasi …. zero e che la biblica prima pietra non la scaglierebbe nessuno. Dubbio umanissimo sia chiaro, e dotato anche di una propria ratio, peccato che in realtà la storia sia piena di squadre capaci di vincere campionati e centrare promozioni (poi annullate da fallimenti e rovesci societari) pur in situazioni economiche disastrose, come pure di altre retrocesse con i conti orgogliosamente a posto. Insomma nello sport le equazioni prendo i soldi … lavoro bene … e quindi vinco le partite, oppure non vengo pagato, lavoro “male” e quindi perdo la domenica, beh non vale, per una serie di motivi molto intuitivi: come la presenza dell’avversario, lo spirito agonistico che comunque (chi più o chi meno) avvolge tutti i giocatori di ogni disciplina e pure la componente ludica, sempre sottolineata da Djordjevic nell’intervista che ha imbeccato il nostro incipit: “Si possono fare errori, ma si deve stare sempre in campo con il sorriso, perché spesso dimentichiamo che la gioia fa parte della pallacanestro”.

Il campo non mente

Insomma, il concetto espresso da “Sale” è abbastanza chiaro: quando si entra in campo tutto il resto deve essere lasciato fuori. Siano problemi famigliari, economici o di qualsiasi altro genere. Certo, bisognerebbe in questo caso evidenziare le opportune differenze fra i professionisti veri (serie A), i professionisti di fatto (A2) e i finti dilettanti (B) ma, ricordando che universale e “particolare” hanno stessa dignità, stiamo con Machiavelli e ragioniamo “in generale”.

Bene. Premesso che ogni società sportiva di questo mondo deve riuscire a mantenere gli impegni economici presi con i propri tesserati a inizio stagione e che situazioni straordinarie, ad esempio il Covid, vanno accettate come imprevisti e non come impedimenti ai pagamenti stessi, è certo che il più delle volte i giocatori usino le carenze di liquidità del proprio club come alibi a cui aggrapparsi nel momento del bisogno. Insomma, quando si vince e tutto fila liscio anche uno stipendio in ritardo dà meno fastidio e crea pochi scompensi, non appena cominciano le sconfitte e non si riesce a fermare l’emorragia di risultati, ecco che i bonifici diventano la ragione di tutto.

La verità è un’altra. I giocatori quando vanno in campo sviluppano l’unico pensiero possibile indotto da ormoni e abitudini, battere l’avversario. Poi, dopo che sul campo hanno perso, cominciano a rimuginare sulla situazione economica del proprio datore di lavoro, della serie “Non è colpa mia se perdo, ma dei dirigenti che non mi pagano”. I casi di disimpegno reale per ritardi nelle retribuzioni sono rari e comunque unici all’interno di un gruppo, quindi con influenza scarsa sul rendimento sportivo delle squadre. Il consiglio, per chiudere, è di non pensare, quando vedete la vostra squadra perdere troppo spesso, se il club sta pagando o meno i giocatori, ma solo al valore tecnico-fisico degli atleti stessi, alle capacità del loro allenatore e alla forza degli avversari affrontati. Ricordando come, nella pallacanestro, gli atleti abbiano lo strumento del lodo per esigere i soldi non riscossi, e loro dovuti, durante la stagione. Insomma sono tutelati, devono solo mettere in moto un’operazione legale che il club, per non vedersi bloccato il mercato finanche avere punti di penalizzazione o essere escluso dal campionato, deve chiudere pagando. Il campo non mente. Mai. E in quel rettangolo, fortunatamente, i soldi, anche quelli non pagati, non contano.

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