La nautica mondiale deve avere una sola rotta e il timone deve restare orientato a questo obiettivo: la sostenibilità. Il tema è a tal punto importante che anche l’arrivo dei foil nel diporto sono visti più come un’occasione di minor consumo energetico e maggior comfort che non come possibilità di più alte prestazioni in velocità. Di queste cose è convinto Gianguido Girotti, cesenate, vice direttore generale del Gruppo Beneteau e amministratore delegato della Divisione Nautica, il colosso francese che nel mondo fattura quasi un miliardo e mezzo di euro con le imbarcazioni da diporto.
Girotti, cosa significa essere ai vertici di un gruppo come Beneteau?
«Un grande onore e una grande responsabilità con in più il fatto che continuo a fare ciò che mi piace. Sì, mi sento un privilegiato. Il nostro è un gruppo che nella parte barche, la divisione di cui mi occupo (il gruppo fattura anche 300 milioni di euro nel settore immobiliare, ndr) si avvicina al miliardo e mezzo di euro di fatturato. Siamo l’unico gruppo multispecialista nel mondo. Vuol dire che siamo specialisti nella cantieristica da diporto nella vela monoscafo come in quella multiscafo, siamo leader con la Prestige nelle barche flybridge con il 20% della fetta di mercato, nella vela abbiamo mediamente il 50% del mercato (una fetta impressionante)... e poi tutto l’universo fuoribordo che permette un’accessibilità alla nautica con budget più contenuti (penso a marchi come Antares, per esempio). Ma stiamo investendo ancora, come negli Usa prendendo quote di mercato anno dopo anno... Essere multispecialisti significa che abbiamo un portafoglio molto diversificato che permette di essere anticiclo. Se un segmento tira di più di un altro noi comunque siamo in grado di coprire tutto e quindi abbiamo una stabilità di portafoglio molto forte».
In quali direzioni si svilupperà nei prossimi anni l’innovazione delle barche da diporto?
«Sostenibilità, sostenibilità, sostenibilità. Lo dico senza scherzare perché da parte nostra è una scelta forte. Rispetto a un costruttore normale tutte le barche del gruppo escono oggi con un impatto del 35% di riduzioni della CO2 sulla parte composito e visto che le barche sono fatte in composito si capisce quanto sia grande il nostro impegno».
L’emergenza ambientale ha tolto dalla priorità dei costruttori il tema delle performance?
«L’emergenza ambientale porterà a riformulare la matrice architettura navale-tipologia di consumi e propulsione-costruzione e materiali usati. Abbiamo di fronte un decennio (ma anche un ventennio) estremamente interessante perché ci saranno opportunità da prendere, nuovi modi di affrontare la navigazione e tra questi passa anche il tema dell’utilizzo, cioè non più la sola proprietà: noi siamo già soci delle due società di charter più grandi del mondo e del terzo boat club più grande al mondo. Per ridurre l’impatto della C02 la stessa barca può essere usata da più persone».
Quando prenderà piede l’uso dei foil anche nel diporto?
«Questo è un punto molto importante. Stiamo sviluppando un catamarano a motore con i foil, non tanto per volare ma per riuscire a risparmiare almeno il 20% del consumo e anche contemporaneamente a dare un livello di comfort a bordo più alto perché anziché sbattere in verticale sull’acqua si avrà una sorta di ammortizzatore. Chi andrà per mare avrà il piacere di navigare più a lungo e consumando meno».
A posteriori la pandemia covid ha portato bene alla nautica?
«Molto. Non possiamo dire che non ha portato bene però ha anche portato molta innovazione. C’è stato un cambio dell’approccio al mare che continua a evolvere».
Si può dire che la nautica trae beneficio da un nuovo modo di concepire la vita?
“Sì. Il Covid ha portato un effetto collettivo di consapevolezza: ci siamo ma per quanto non lo sappiamo. La proiezione a corto termine ha vinto rispetto a quella a medio termine. Io voglio comunque avere i miei affetti e il mio benessere. Non rimando più perché sono le cose a cui ambisco che mi fanno apprezzare la vita. La vita è una e la si vuole vivere ora e non fra sei anni perché magari si compiono 50 anni e si traguarda a quell’obiettivo... Per cui la si vive adesso con i mezzi, le possibilità e le condizioni di ciascuno di noi (non importa se la barca è grande o piccola). Si dà più valore agli affetti, alla famiglia, alle passioni. E questo porta a tante conseguenze»...
Per esempio?
«Ci sarà per esempio una spinta a un rinnovo infrastrutturale. I porti hanno mediamente permessi che sono vecchi di 20 anni, Domani ci saranno nuovi investimenti in ricariche elettriche che magari serviranno per chi vuole passare una giornata con la barca a motore: la affitti un giorno e vai a fare un bagno. È lo stesso meccanismo di ricarica della Tesla... L’ecosistema porto si evolverà nella direzione in cui viaggia l’estensione della tua quotidianità. Sarà tutto molto interessante».
Da italiano all’estero, da addetto ai lavori, cosa consiglierebbe ai suoi connazionali?
«L’Italia ha delle vere eccellenze in assoluto. Mi sento di dare pochi consigli, soprattutto a quelli che sono grandi imprenditori e grandi visionari. Ma penso che l’Italia possa fare ancora di più. Con la creatività e il savoir faire italiano c’è la possibilità di imbarcarsi con maggiore forza in questa trasformazione diventando attori più forti in questo cambiamento. L’Italia ha tantissime cose da dire sul tema della sostenibilità perché ha una creatività che non riguarda solo i grandi cantieri ma tutta la filiera dei fornitori che sono delle eccellenze assolute»..
Come nel territorio di Forlì-Cesena...
«Potrei nominare cinquanta realtà e non avrei detto tutto... Sì, tutto questo può diventare un sistema eccellente che può traghettare molto lontano. Vanno mantenute le individualità ma si deve fare ancor più sistema».