Giotto, Francesco e Dante, che balzo per l'umanità!

«In questo libro narro di Giotto, Francesco d’Assisi e Dante come tre portatori di un nuovo messaggio, raffigurati come vertici di un triangolo equilatero che ancora oggi rimane fondamentale nel progresso della specie umana. Figlio di un secolo nuovo, il pittore fiorentino agì con gli altri due in quel clima epocale che segnò la fine del Medioevo dischiudendo l’era moderna, progenitrice di quell’Umanesimo universalistico che fu il Rinascimento italiano».

Alessandro Masi, storico dell’arte, giornalista e segretario generale della Società Dante Alighieri, così racconta il suo ultimo volume, L’artista dell’anima. Giotto e il suo mondo (Neri Pozza) che sarà presentato oggi, sabato, alle 17.30 al Museo della Città, nella Sala del Giudizio. L’incontro è introdotto da Edoardo Crisafulli, direttore dell’Istituto italiano di cultura a Kiev, con il coordinamento di Alessandro La Motta, presidente di Templum Malatestiano et Terrae.

Professor Masi, ci spieghi il titolo del suo lavoro. Perché definisce Giotto «artista dell’anima»?

«Perché ho dato vita a un Giotto che entra nel corpo e nello spirito del suo tempo, ci entra attraverso la parola di Francesco, la parola evangelica che è una parola semplice e potente nello stesso tempo. In fondo la sua pittura acquisisce questo principio, si fa semplice, esce dalla complessità iconica bizantina e, come il Vangelo, si fa parola e immagine che parla molto più direttamente e potentemente al popolo».

Come è strutturato il volume? Si tratta di una biografia?

«Possiamo definirlo un racconto storico, perché le informazioni su cui si basa il libro sono tutte di carattere scientifico, ovviamente hanno più un aspetto divulgativo che non di saggio, ma non di meno si attengono alla verità. Giotto è un usuraio, lo sappiamo, lo traggo dai documenti dell’epoca, ma quando ne scrivo la narrazione si fa più sciolta, a differenza di un saggio storico che parlerebbe in termini molto più freddi. Cerco di animare l’azione, perché l’obiettivo è fare entrare il lettore dentro lo spirito di un’epoca e non lo faccio attraverso una forma romanzata, lo faccio attraverso una forma raccontata».

Nel libro tratta anche dei rapporti di Giotto con Rimini?

«Riporto l’episodio in cui Giotto viene chiamato per andare a Padova e nel dialogo con la moglie dice che andrà a Rimini a fare delle cose, quindi Rimini è citata nell’ambito del racconto extra fiorentino. Non sono entrato nel merito della critica d’arte, di Longhi e della scuola giottesca, sono cose che si danno per acquisite».

La sua biografia di studioso indica come interessi principali il futurismo e la politica culturale del ventennio fascista. Cosa c’entra Giotto con queste sue ricerche?

«Sì, sono un novecentista, laureato in Storia dell’arte, ma avendo fatto diverse annualità di medievalistica, Giotto mi è rimasto nell’anima. Inoltre Giotto è la fonte di ispirazione di tutto il Novecento italiano. Quindi la relazione c’è, oltre al fatto che i miei anni vissuti sulle pagine di Giotto all’università hanno lasciato un conto in sospeso con la storia che volevo chiudere. Aggiungo che di Giotto si parla poco, film su di lui ad esempio non ce ne sono, c’è tanta saggistica, ma non abbiamo una larga divulgazione sulla sua figura. E poi non è solo Giotto. Nel mio libro parlo di un triangolo equilatero che ha ai vertici Giotto, Francesco d’Assisi e Dante, che sono i tre giganti del pensiero su cui si basa l’Umanesimo moderno. Grazie a loro c’è stato il balzo in avanti dell’intera umanità».

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