Giornata della Memoria: Daniele Susini e la scuola

Il tema della “memoria” nella scuola del Covid: ne parla Daniele Susini, autore di testi sul tema dell’ebraismo (il più recente, “La resistenza ebraica in Europa”), ricercatore, formatore sui temi della Shoah, della Resistenza, della Costituzione.

Un territorio presidiato

«A livello generale c’è un indebolimento dell’offerta didattica anche su questi aspetti – riflette Susini, che collabora inoltre con il “Mémorial de la Shoah” di Parigi, è direttore del Museo della Linea gotica di Montescudo e consigliere dell’Istituto storico della Resistenza di Rimini – ma è anche vero che i professori che già si impegnavano continuano a farlo. Quello della memoria storica della Shoah è quindi un territorio presidiato, anche se in questo momento la coperta è corta, e la priorità è il contenimento del Covid. Il timore semmai è che se le operazioni culturali messe in atto fin qui nella scuola sono fra le migliori e radicate in una vera e propria “militanza” didattica, a loro volta subiscono però gli effetti di una banalizzazione dilagante».

A cosa si riferisce?

«Faccio l’esempio più recente ma che lascia l’amaro in bocca: la grande comunicazione ci ha riferito la presunta scoperta per cui la delazione che portò alla morte Anna Frank e la sua famiglia sarebbe stata opera di un ebreo. In questo modo non si fa altro che riproporre il mito dell’ebreo carnefice di se stesso, e alimentare pregiudizi anche nei confronti degli ebrei di oggi. Quello di Anna Frank è un argomento totem ma la sua vicenda è tragicamente comune a tanti ebrei, partigiani, dissidenti, traditi da chi era loro vicino. Ecco, questa è una banalizzazione che per osmosi influenza studenti e docenti e li fa incorrere in errori di prospettiva non facili da scalzare».

Banalizzare la Shoah è anche indossare divise a righe per protestare contro provvedimenti governativi.

«Ma in quel caso gli studenti che ho incontrato sono stati unanimi nella condanna a un parallelismo storico giudicato insensato».

Il Treno della Memoria anche quest’anno viaggerà solo online.

«Non saprei esprimere un giudizio su questo. Sta di fatto che il viaggio ha un significato solo se viene realizzato con un percorso di avvicinamento. Se si pensa che un ragazzo maturi una coscienza civica e civile magicamente, solo arrivando in un luogo della memoria, si fa un grave errore. Ai ragazzi invece bisogna permettere di crearsi un personale metro di giudizio e di conoscenza: e lo si fa con il lavoro, l’impegno, il tempo per far sedimentare informazioni e riflessioni».

Ma per i giovani di oggi avere una prospettiva storica sembra particolarmente difficile.

«In realtà sentono che argomenti come la guerra, la Resistenza, lo sterminio degli ebrei e degli oppositori li toccano, e se sono posti in modo corretto si incuriosiscono, e chiedono. Il problema anche qui sta nella semplificazione a cui a volte è soggetta la storia nella scuola, e nel grande buco nero della famiglia, che ha delegato ogni compito educativo e spesso non è più in grado di coltivare la memoria, instillando così nei ragazzi le basi di un ragionamento storico-politico».

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