Gagliardi e Lauretano a Cervia per Deledda e Baldassari

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«Non è stata studiata bene la Deledda, era una scrittrice straniera … Ha gettato un ponte tra la cultura italiana e la cultura sarda e io cammino sul quel ponte e ci camminano tutti gli scrittori sardi», scriveva Michela Murgia commettando le pagine di Canne al vento di Grazia Deledda, a suo avviso dotata di una forza sovversiva.

Dal 15 agosto una targa storica, realizzata dal Comune di Cervia, è stata apposta a Villa Caravella, la “casa color biscotto”, in cui la scrittrice Premio Nobel (1871 -1936) trascorse le sue lunghe estati cervesi, dopo aver vinto il premio Nobel 1926 per la letteratura. Cittadina onoraria dal 1927, Cervia le ha ispirato quattro romanzi e una dozzina di novelle.

Prosegue il percorso avviato in maggio con il Festival dedicato alla scrittrice, a cura dell’Associazione “Grazia Deledda”, una Nobel a Cervia e con il patrocinio del Comitato per le celebrazioni del 150°, di Regione Emilia-Romagna e Comuni di Cervia e di Nuoro.

Insieme congiunto delle associazioni dedicati ai due poeti, in collaborazione con la Biblioteca Maria Goia, oggi alle 17.30 al Giardino della Scuola per l’infanzia Alessandrini, per l’inedito reading Le affinità inattese. Grazia Deledda e Tolmino Baldassari, alla ricerca dei punti di contatto tra la prosa della prima donna italiana Premio Nobel per la letteratura, e il più importante poeta dialettale del territorio, con gli studiosi e critici, Elena Gagliardi (curatrice per Longo editore de “I romanzi cervesi di Grazia Deledda”) e Gianfranco Lauretano, e con letture di Annalisa Teodorani e Nevio Spadoni .

Gagliardi, quali affinità inaspettate è possibile rinvenire tra questi due autori?

«Pur diversi per epoca, generi letterari e modalità di scrittura, essi rivelano tuttavia alcune affinità davvero inattese: prima fra tutte, il rapporto con l’amata Cervia. La scrittrice sarda ambientò qui alcuni dei suoi più significativi romanzi e molte sue novelle, con uno sguardo sul paesaggio romagnolo, attento ed affettuoso insieme, che ritroviamo anche nelle poesie di Tolmino Baldassari (1927-2010). In secondo luogo, entrambi hanno avuto un percorso scolastico irregolare, si sono formati come autodidatti, arrivando tuttavia entrambi ad avere una profonda cultura letteraria e artistica,e riuscendo a stringere una rete di relazioni con scrittori ed intellettuali del loro tempo».

E quale comunanza emerge nelle loro opere?

«Appare molto evidente l’attenzione dell’una e dell’altro verso la natura, vista in ogni dettaglio, che sempre rivela però anche un significato “altro”, simbolico, e verso i personaggi umili e semplici. Naturalmente, queste sono le affinità principali, ma molto altro si potrebbe dire, a partire dal loro rapporto con la lingua-madre, il dialetto».

Una vicinanza “di cuore” della scrittrice sarda di cui si fece interprete con i suoi colori caldi e poetici del suo pennello Werther Morigi in opere come quelle che è possibile ammirare nella mostra I colori morigiani per i versi di Grazia Deledda, fino al 31 agosto alla Studio storico-bottega dell’arte del maestro forlivese (1915-1990) in viale Leopardi 7 a Milano Marittima.

«Vengono presentate ed illustrate – spiega Walther Morigi, figlio dell’artista – nove opere che mio padre dedicò agli scritti di Grazia Deledda. Altrettanti affreschi su tele, olii ed una penna su juta che riportano titoli e versi delle novelle e romanzi che la scrittrice dedicò a Cervia. Opere realizzate fra il 1936 e il 1983, simboliche e affascinanti come le tele “Il paese del vento”, “Fuga in Egitto” e “Il Dio dei Viventi”, oltre allo schizzo-ritratto dello stagnino “Trucolo”, personaggio cervese che la Deledda rese protagonista di alcuni racconti».

Perchè la Premio Nobel definì Werther Morigi, dopo averlo incontrato e aver ammirato le sue opere, «foriero di un’arte nuova»?

«Condotta dal figlio Franz Madesani, amico di Werther Morigi, la Deledda ne ammirò a Roma le opere che le ispirarono una dedica-augurio nella quale preconizzò al giovane artista il “bisogno di racconto” che li accomunava, la capacità di rendere le opere testimoni letterari e pittorici della pietà universale».

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