"Fuoco!" alle polveri. La Romagna enologica riparte da Modigliana

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“Fuoco!”. Il Sangiovese di Modigliana mira e colpisce, si potrebbe dire mutuando il titolo dello straniante e crudo film datato 1968 del regista, produttore cinematografico, e di vino proprio in Modigliana, Gian Vittorio Baldi. Di fatto è lui che negli anni Settanta creando Castelluccio avvia la storia della Modigliana enologica che oggi raccoglie, unisce e allunga i capitoli del medesimo racconto, puntando ancora una volta, come fece Baldi stesso, a una piccola rivoluzione. In piena vendemmia, per tre giorni gli undici produttori di Stella dell’Appennino si sono dedicati all’accoglienza di stampa, degustatori, oltre duecento ristoratori, e questa volta anche delle istituzioni regionali in ascolto, per presentare i loro vini in uscita, tessendo ancora il racconto corale di una piccola sottozona del Sangiovese che da cinque anni fa scuola in Romagna.

Sostenibili per natura

Bosco, altitudine, marnose arenacee, vanno ripetendo come un mantra questi produttori, sono le caratteristiche del territorio su cui lavorano, e le loro regole. Il bosco qui non sembra far paura, anzi. L’anno scorso sui “monti” di Modigliana la natura si è ripresa 80 ettari, e già occupava la metà dei 6.600 che costituiscono questo territorio, in cui la vite di ettari ne strappa appena 330. «La natura si riprende quello che è sempre stato suo e a noi rende fertilità», dice Renzo Maria Morresi di Frawines-Casetta dei frati che presiede l’associazione Stella dell’Appennino. Le rocce sedimentarie, ciò che resta di un mare antico che arrivava fin qua, formano suoli poveri, ed è proprio il bosco che li arricchisce di sostanze organiche, biodiversità, umori. «Dando ai nostri vini una precisa impronta – insiste Morresi –. Uno studio ha confermato che se un bosco brucia vicino a una vigna, i vini sapranno di affumicato per i 5 anni successivi, quel che accade al bosco attraverso le micorrize passa alle piante, vigne comprese, e le condiziona». Camminare di pari passo col bosco, questo è quello che fanno i dieci vignaioli di Stella dell’Appennino, e cammina cammina, negli ultimi cinque anni hanno accresciuto sì la qualità dei loro vini, ma hanno saputo anche attirare l’attenzione su di sé, cosa ancora non scontata in Romagna.

Una mappa per leggere i vini

«Decodificare il territorio e far parlare di Modigliana nel mondo del vino» è l’obiettivo dall’inizio di questa avventura, come sottolinea il produttore e comunicatore Giorgio Melandri. Il nuovo strumento è la mappa delle tre valli di Modigliana che dettaglia ulteriormente la sottozona e mette nero su bianco gli indizi utili a ricostruire la genesi delle sfumature che concorrono alla peculiarità di questi vini. Le valli che dal paese si inerpicano in Appennino sono tre e seguono il corso degli omonimi torrenti: Ibola, Tramazzo e Acerreta. La spina dorsale di tutte e tre sono le rocce sedimentarie di marne e arenarie, poi però alcune caratteristiche di conformazione del territorio e microclimi diversi dettagliano le caratteristiche dei sangiovesi che vi nascono e maturano. Ibòla è la valle più corta, stretta e fredda, il rumore un tempo forse più tumultuoso del torrente che la attraversa, “bobla” in dialetto, le ha dato il nome. Qui si collocano le cantine Villa Paiano, quella più montana, Il Teatro, il Pratello e alcune vigne di Mutiliana e Torre San Martino, Lu.Va, scendendo Menta e Rosmarino e Agrintesa. Le escursioni termiche sono più forti e il Sangiovese, il più austero dei tre, assume sentori agrumati e speziati, tannini importanti, eleganti. La valle del Tramazzo, stretta fra le altre due, guarda il borgo dall’alto, è più aperta, dolce, ventilata. Il vino acquisisce note erbacee e balsamiche, elicriso, cipresso e mentastro sono spesso evidenti. Qui si collocano altre vigne di Mutiliana, Lu.Va., poi Frawines-Casetta dei Frati e l’unica vigna di Fondo San Giuseppe in questa zona. La valle Acerreta deve il suo nome alla presenza degli aceri, ed è nota per la presenza antica di eremi camaldolesi. Le brezze qui arrivano anche dall’Adriatico. La parte vitata è quella più bassa, quella degli scoscesi e famosi Ronchi di Castelluccio, oggi coltivati anche da Mutiliana e Torre San Martino. Il Sangiovese si fa più materico, ai frutti di bosco e melograno si uniscono il fiore di genziana e note terrose.

L’identità trovata

È ben strano voler dimostrare un’ identità dettagliando al minimo le differenze, senza contare anche la mano dell’uomo, che ne aggiunge inevitabilmente altre. Eppure questo territorio ha cantato la sua voce in questi Sangiovesi dal frutto e trame sottili. Un po’ per gioco, ma anche per mettersi alla prova, gli 11 produttori quest’anno hanno istituito anche un trofeo, che si passeranno a seconda del giudizio della stampa che voterà annata per annata i loro vini. Quest’anno era la felice 2018 a contendersi la pietra d’arenaria con la stella a tre code incisa in oro zecchino, l’ha vinta Lu.Va. Ma l’ha conquistata soprattutto un’idea forte di racconto che non ha avuto paura di fare “Fuoco!”, scuotendo un territorio.

Wine and rock, la masterclass di Nelson Pari. “Fuoco!” lo porta scritto come una brillante provocazione sulla t-shirt stampata per l’occasione Nelson Pari, citando Gian Vittorio Baldi, ovvero un caposaldo della storia enologica modiglianese che con la sua idea portò un territorio sconosciuto ai vertici. Riminese d’origine e senior sommelier nel più esclusivo wine club del mondo, il 66 Pall Mall di Londra, Nelson Pari domenica pomeriggio ha messo il suo personale sigillo, spregiudicato e rock, “sparando ad alzo zero” e andando comunque perfettamente a segno, alla master class dedicata al Sangiovese di Modigliana che ha coinvolto oltre 90 persone, fra cui molte firme importanti dell’enocritica. Toccava infatti a lui portare ancora una volta, la seconda dopo l’exploit nel 2019 al fianco di Walter Speller nella medesima occasione, lo sguardo di chi guarda la Romagna da fuori, dal mondo anglosassone in particolare. Quattro capitoli per raccontare le peculiarità di Modigliana mettendoli a confronto, senza falsi pudori, con altre zone che oggi occupano oggettivamente mercati più consistenti. Nel primo capitolo dedicato al bosco, il Framonte 2018 Modigliana di Casetta dei Frati si è messo al fianco con nonchalance di un Val delle Corti Chianti Classico 2018 (zona Radda) e di un Rosso di Montalcino 2018 di Silvio Nardi. «Il Sassicaia si fa in una vigna schermata dal bosco, sarà un caso? No. Il bosco ha regole chiare: ogni volta che salite di 100 metri cala la temperatura di 0,6 gradi, il bosco è una macchina termica pazzesca durante l’estate quando ha le foglie, produce sostanza organica –spiega Pari –. Nel bicchiere più vai in alto più il frutto rosso diventa mirtillo, susina, con l’escursione termica arrivano le acidità e il vino si fa più fragrante, la sostanza organica insieme alla roccia porta salinità. Il Sangiovese di Modigliana sta crescendo anno dopo anno ed è solo l’inizio, la critica ci guarda e iniziano a interessarsi a quello che si sta facendo qua. Anche qua in Romagna dobbiamo esserne finalmente consapevoli». Secondo capitolo della degustazione: la Romagna, ovvero le zone con più personalità secondo il relatore, vale a dire «Valle Ibola, Predappio Alta, Valpiana e Montecoralli». In assaggio tre Sangiovesi 2016, annata da ricordare, piacevolmente potenti: Corallo Nero di Gallegati (argille rosse Brisighella), Vigna del Generale di Nicolucci (marne e arenarie sulfuree in Predappio), Violano de Il Teatro (marne e arenarie della valle Ibola in Modigliana). Per dettagliare Modigliana e le tre valli protagoniste hanno sfilato i vini di Mutiliana tutti 2019 e in anteprima: Acereta, Tramazo, Ibbola. Sì la differenza c’è, Ibbola spicca, la sostanza però è una. E per finire la storia e lo stupore per i sorsi di un Ronco del Casone 1980 di Castelluccio, un Mantignano 2007 de Il Pratello, che a sua volta ha fatto la storia, e per chiudere I Probi 2016 di Villa Papiano, il nuovo, lucente corso della vicenda enologica di Modigliana.

Castelluccio la storia e il futuro. Non solo la storia, anche le storie sono importanti quando si parla di vino. Quella della cantina Ronchi di Castelluccio in Romagna è piuttosto singolare e oggi riprende forza grazie all’impegno di una nuova proprietà. I fratelli Aldo e Paolo Rametta, già titolari della Cantina Poggio della Dogana sempre nel Forlivese ma a Terra del Sole, insieme a Cristiano Vitali sono i nuovi titolari della storica cantina creata da Gian Vittorio Baldi poi guidata dal figlio Gian Matteo, della quale hanno acquisito tutto il patrimonio, casolare, cantina, vigne e riserva storica. Hanno avviato da subito un lavoro di recupero e innovazione importante. A cominciare dalla cantina, rinnovo di tutti i legni e introduzione del cemento, ma soprattutto in vigna, per colmare le fallanze delle quali hanno fatto riferimento agli agronomi Bordini padre e figlio, il capostipite Remigio fu infatti l’agronomo del fondatore negli anni Settanta. «Grazie a lui è stato possibile recuperare i cloni originali, ad esempio, del Ronco del Casone (durante la due giorni modiglianese stappato nella versione 1980, ndr) – spiegano Aldo e Paolo Rametta –. Abbiamo ripulito la particella che era stata fagocitata dal bosco e ora la rimettiamo in produzione, riavremo Ronco Casone nel 2025. Avevamo bisogno di una cantina per vinificare quello che già producevamo prima a Poggio della Dogana, abbiamo avuto questa occasione e l’abbiamo colta al volo, con la consapevolezza e la voglia di voler salvaguardare un patrimonio storico importante». Anche le famose etichette sono state mantenute, a cominciare dai due vini base, il Sangiovese Le More e l’Albana Lunaria che al momento sono gli unici in commercio con la prima annata del nuovo corso, 2020. «Abbiamo ritirato tutti i vini precedenti proprio per uscire con i nostri nuovi Ronchi, vinificati come Castelluccio ha sempre fatto categoricamente separati, dal 2023. Si stanno già affinando in bottiglia». Ci sarà anche un’ etichetta nuova, si chiamerà Bianco di Castelluccio e sarà un trebbiano 60% e sauvignon blanc al 40%.
Oltre a questa storia di rinascita, sia chiaro che nessun vignaiolo a Modigliana resta fermo. Luca Monduzzi e Stefania Montanari de Il Teatro, ad esempio, oggi hanno la loro piccola cantina a ridosso delle stesse vigne concentrate intorno a casa in valle Ibola. Le nuove dimensioni degli spazi di lavoro hanno comportato anche modifiche alle tecniche di vinificazione e anche nuovi vini. La Roncia, ad esempio, il secondo cru della cantina dalla stessa vigna settantenne del Violano, per ora in 700 promettenti bottiglie.

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