Fotografia: Chiara Fossati al Si Fest di Savignano con "Whatever"

Archivio

Ultima Thule della controcultura underground, che ha visto e vede migliaia di giovani ritrovarsi anche in sfida alle disposizioni, i raduni rave degli anni Novanta-Duemila sono al centro della mostra Whatever di Chiara Fossati, allestita per il 31° Si fest all’Istituto comprensivo Giulio Cesare per la materia “Musica”, nella scansione voluta dal nuovo direttore Alex Majoli. Così come le altre, sarà visibile al pubblico, ma soprattutto agli studenti, che potranno lavorarci con i loro insegnanti (dal 9 settembre).

La mostra reca il titolo dell’omonimo libro appena pubblicato da Cesura Publish, in cui la fotografa legnanese, esperta in culture urbane, ha raccolto ogni aspetto di tali raduni: i furgoni, i cani, i muri di casse, la verità enfatica dei gesti, la danza, i piercing, gli abbracci, l’estetica post industriale…

«Whatever – dice – è la storia della mia famiglia adottiva e di un sogno condiviso da migliaia di ragazzi come noi: vivere in un mondo privo di regole e costrizioni. Il racconto di sei anni vissuti viaggiando – scrive – per incontrare i miei amici in fabbriche abbandonate e boschi isolati, dove ognuno poteva essere solo sé stesso, in quella casa temporanea che era la pista da ballo, dove si può dimostrare che è possibile vivere in una società diversa».

Fossati, perché ha voluto raccontare ora la controtendenza e la ribellione racchiuse nell’esperienza di quegli anni?

«Ero un’adolescente quando ho scattato quelle foto, sapevo che avrei voluto fare la fotografa nella vita ma non c’era alcuna attitudine progettuale nel porsi. Io facevo le foto perché era il mio mezzo per esprimermi, perché ero con i miei amici alle feste e io ero quella che faceva le foto. Forse è anche il suo bello, è un lavoro del tutto spontaneo, per nulla costruito. L’esigenza di essere come si voleva. Tutti sognano di vivere in un mondo libero, un mondo migliore».

Le immagini sono accompagnate da testi sulla cultura rave, come “festa”, rituale dove si cercava una liberazione fisica e mentale attraverso la danza.

«Si trattava di un fenomeno nato soprattutto in Inghilterra negli anno del thatcherismo. Racconto di quei giovani che da tutta Europa si spostavano come una grande famiglia, che non si ritrovavano nella società del tempo e che riuscivano a esprimersi solo andando controcorrente».

Con l’intento, lei sottolinea, di continuare a raccontare «persone e realtà che sono sotto gli occhi di tutti, ma a cui nessuno presta attenzione».

«Sto lavorando a un libro che avrà ancora una volta al centro il tema dell’adolescenza, cosa si vive e si sogna in questi anni difficili. Ho raccontato ne Il villaggio dei fiori, Premio Pesaresi al Si fest 2019, la vita quotidiana nel quartiere dove abito a Milano, fatto di case popolari, costruito come fosse Brixton, ma con un senso di comunità fortissimo. Sono convinta che cercare di raccontare ciò da cui sono partita mi abbia dato un’attitudine diversa, come una molla per andarmi a prendere quello che volevo».

Newsletter

Iscriviti e ricevi le notizie del giorno prima di chiunque altro Clicca qui