Forlì, sperimentazione al via per gli infermieri di famiglia

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Potenziare le cure palliative per raggiungere, entro il 2028, il 90% della popolazione interessata, soprattutto per l’assistenza domiciliare. Un percorso lungo, previsto anche nella legge di bilancio 2023 che prevede che le Regioni mettano a punto un piano di potenziamento per centrare l'obiettivo. In quest’ottica Federazione nazionale degli Ordini delle professioni infermieristiche e Società italiana dicurepalliative hanno messo a punto un documento per ribadire l’importanza dell'infermiere di famiglia e comunità, primo riferimento domiciliare per l’assistenza delle persone e dei caregiver e, di concerto con l’equipe curante e attraverso il coinvolgimento dell'Unità valutativa multidisciplinare nella stesura del Progetto assistenziale personalizzato, abilitato a rilevare e intercettare precocemente i bisogni dicurepalliativee indirizzare l'utente verso percorsi appropriati.

Una figura quella dell'infermiere di famiglia e comunità, che sta nascendo proprio in questi mesi, con l’Ausl Romagna che ha avviato un progetto pilota e che non avrebbe ovviamente competenze solo per le cure palliative, ma ben più vaste. «La figura dell’infermiere di famiglia in alcune regioni come la Toscana era già partita – spiega Marco Senni, presidente dell’Ordine provinciale degli infermieri e tra i referenti per l’Ausl delle Cure primarie –. Noi siamo in una fase iniziale. In Azienda si è fatto un corso di perfezionamento in accordo con l’Università di Bologna, terminato ad ottobre, e partiamo adesso con la sperimentazione. Sono 4, una per ogni ambito, quindi Forlì, Cesena, Rimini e Ravenna. Stiamo costruendo adesso il percorso con il coinvolgimento della Medicina generale, poi con la popolazione e la parte politica. Ho visto il documento che collega questa figura anche all’ambito più specifico delle cure palliative: noi in Ausl abbiamo una rete molto sviluppata di cure palliative strutturata tra le varie fasi (ospedale, domicilio, ambulatorio e hospice, ndr) che funziona molto bene. Questo è un inizio, tutte le Aziende si stanno muovendo in questo senso. Il contesto è quello del domicilio, quindi territoriale, la strategia è quella di lavorare in equipe. Noi vediamo l’infermiere di famiglia e comunità come un collettore tra i vari servizi ospedalieri del territorio. Gli obiettivi sono ambiziosi: l’infermiere di famiglia si deve occupare sia del prevenire le riacutizzazione delle persone che hanno patologie croniche, sia andare a intercettare persone che non hanno ancora dei bisogni di salute, ma favorendo corretti stili di vita». Per gli infermieri di comunità sono stati fatti dei bandi di manifestazione di interesse all’interno dell’Azienda: sono state selezionate due persone per ogni ambito. Inoltre al corso hanno partecipato altri operatori che lavorano già nelle cure primarie. «Obiettivo è arrivare a dare tante responsabilità, ma il mondo infermieristico si sente pronto per questo salto.


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