Forlì. Omicidio Ruffilli, la scoperta dell'agente Cici fondamentale per inchiodare i brigatisti

Esattamente 35 anni fa le Brigate Rosse assassinarono nella sua casa a Forlì, in corso Diaz, il senatore Roberto Ruffilli, docente universitario e senatore della Repubblica della Democrazia cristiana che oggi sarà commemorato con la deposizione di una corona di fronte alla sua abitazione (alle 10.30) e con l’incontro “Roberto Ruffilli e i problemi del nostro tempo” al circolo Aurora (alle 11.30).
Aveva 50 anni, era un fedelissimo di Ciriaco De Mita e, quando rivendicò l’omicidio, il gruppo terrorista disse che il politico forlivese era stato punito in quanto artefice del «riadeguamento complessivo di tutte le funzioni ed istituzioni dello Stato ai nuovi termini di sviluppo dell’imperialismo» e perché aveva saputo «ricucire, attraverso forzature e mediazioni, tutto l’arco delle forze politiche, comprese le opposizioni».
Nel 1991 per quel delitto la Corte di Cassazione pronunciò 9 condanne definitive all’ergastolo, confermando quanto era stato deciso fin dalla sentenza di primo grado. Per arrivare a individuare e poi a punire i colpevoli fu fondamentale una scoperta che fece un poliziotto barese che vive a Cesena da una quarantina di anni (abita a Borgo delle Rose, sopra Borello) e allora era in forza alla Polizia scientifica di Forlì, dove era arrivato nel 1985, tre anni prima dell’uccisione di Ruffilli.
Si chiama Francesco Cici, classe 1953. Grazie al suo lavoro, si riuscì a trovare l’impronta di uno dei componenti del commando delle Brigate Rosse, Fabio Ravalli. Da lì l’indagine imboccò la pista giusta e i brigatisti furono poi arrestati.
Per l’agente, che è in pensione dal 1996, la data del 16 aprile è sempre speciale. I suoi ricordi di quella drammatica giornata del 1988 sono ancora vividi. Racconta che era fuori servizio e stava facendo un giro a Cesena, quando verso l’ora di pranzo i colleghi di una volante lo accostarono e gli dissero che doveva presentarsi subito in Questura, perché bisognava fare rilievi sul luogo di un crimine che era costato la vita a qualcuno di molto importante. Fu quindi indirizzato rapidamente in corso Diaz a Forlì, nella casa del senatore Ruffilli e iniziò a cercare tracce che potessero essere utili per acciuffare i criminali.
«Il corpo senza vita del senatore era in posizione inginocchiata, riverso sul divano e con la testa piena di sangue», ricorda. In effetti Ruffilli era stato avvicinato da due persone che sull’uscio della sua abitazione gli avevano detto che dovevano consegnargli della posta e poi lo avevano trascinato all’interno, lo avevano fatto inginocchiare e gli avevano sparato alla nuca.
Le operazioni in cui era impegnato Cici, che dopo avere rilevato le impronte era andato a sviluppare nella camera oscura le foto fatte sul luogo del delitto, non erano però partite bene. Non stava emergendo niente di significativo. Finché - ricorda - apprese che non distante da casa Ruffilli «era stato trovato un furgone Fiorino targato Roma, sulla cui carrozzeria c’erano i simboli delle Poste». Si attivò per farlo rimuovere e portare nel parcheggio della Questura di Forlì, indicando di non metterci le mani sopra, per non disperdere eventuali tracce utili, e di proteggerlo con un telone. Iniziarono quindi verifiche accurate e - ripercorre quei momenti Cici - «mentre analizzavo il posto di guida, notai che il finestrino dalla parte del volante non era chiuso completamente. Cercai quindi lì se c’era qualche impronta, usando una polvere speciale che serve a evidenziarle. Vicino al bordo in alto, nella parte esterna ne trovai una di un dito medio».
La foto di quella traccia fu inviata dallo stesso poliziotto alla Criminalpol di Roma e al Gabinetto regionale a Bologna. E «dopo appena due ore il questore mi informò che dall’incrocio fatto con quanto era conservato negli schedari di persone sotto controllo si era trovata una corrispondenza tra l’impronta che avevo trovato e i dati di un terrorista».
A quel punto, la strada per identificare l’intero commando si rivelò abbastanza spianata.
Però Cici ebbe una delusione, che gli causò grande amarezza. Il suo nome non fu inserito nell’elenco degli agenti premiati per l’indagine che aveva assicurato alla giustizia gli assassini del senatore Ruffilli. Non volle ingoiare in silenzio il rospo e perciò fece le dovute segnalazioni, ottenendo rassicurazioni sul fatto che si sarebbe provveduto a riconoscere il ruolo chiave che aveva avuto. Ma dovette attendere il 10 aprile 1991, cioè tre anni, prima di avere la soddisfazione di vedersi assegnare la meritata lode nel corso di una cerimonia di consegna si svolse al Caps di Cesena. Quell’attestato del ministero dell’Interno lo conserva con orgoglio, appeso a una parete di casa a Borgo delle Rose. C’è scritto che la sua «abile attività investigativa» permise di «identificare un terrorista responsabile di omicidio».
Oggi la ferita per quel tardivo riconoscimento si è un po’ rimarginata e in Cici prevale la soddisfazione per il colpo grosso professionale che mise a segno in occasione dell’omicidio Ruffilli.