Forlì, la pandemia fa volare la ricerca

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Due anni di pandemia hanno cambiato inesorabilmente e irreversibilmente la sanità pubblica, l’approccio diagnostico e quello terapeutico? Sì. Il Covid ha frenato la ricerca scientifica in ambito medico? Assolutamente no. Sono le due istantanee che derivano dal convegno “Dove si fa ricerca si cura meglio”, promosso dall’Ausl Romagna e dal direttore di Chirurgia generale e terapie oncologiche dell’ospedale “Morgagni-Pierantoni” Giorgio Ercolani, al campus universitario di Forlì. Una tavola rotonda animata da tutti i direttori delle unità operative di Forlì-Cesena e dalla quale è emerso come la ricerca abbia resistito alle ondate pandemiche.

Anzi, per usare le parole di Emanuela Giampalma, direttrice di Radiologia, «La ricerca non si è mai fermata né può fermarsi perché sono proprio queste fasi a stimolarla». Come? «Quando per accertare un’infezione da Covid servivano dalle 48 alle 72 ore, sono state le Tac toraciche ad alta risoluzione ad aiutare i Pronto soccorso – spiega lei stessa -. Poi, con le Usca, gli ecografi portatili, la radiologia domiciliare, hanno rivoluzionato le diagnosi polmonari e questi strumenti, nati con la pandemia, saranno la quotidianità del futuro».

La grande trasformazione ha riguardato principalmente il laboratorio analisi di Pievesestina. «Siamo partiti effettuando 200 test giornalieri, siamo arrivati a 13.500 ogni 24 ore per un totale di 2 milioni 350mila in due anni – spiega il direttore di Microbiologia, Vittorio Sambri –. Da gennaio 2020 a oggi abbiamo effettuato 6mila sequenziamenti del genoma, il 10% di quelli fatti in tutta Italia, tutti i test sugli anticorpi neutralizzanti in Emilia-Romagna li abbiamo svolti noi e la ricerca ha avuto un’esplosione». Da cosa non si torna più indietro? Sambri è netto: «Scordiamoci la microbiologia del 2019, non esisterà più, anche perché i test prima costavano 30 euro, ora 5. Anche il nostro laboratorio dovrà cambiare, avvicinandolo sempre di più al letto del paziente».


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