Forlì, Immordino: "Medici di base in emergenza"

«È una fase in cui le necessità della gente sono triplicate. Tutto è diventato urgente, ma le risorse sono contingentate. E l’unico punto di riferimento spesso è il medico di famiglia. Purtroppo, pur prodigandosi, non si riesce a fare tutto». Vincenzo Immordino, medico di medicina generale e segretario provinciale del sindacato Simet, Sindacato italiano medici del territorio, spiega di comprendere le sensazioni che alcuni cittadini possono avere rispetto a un comportamento del proprio medico curante non ritenuto sufficientemente tempestivo e premuroso. «Ma - dice - effettivamente la pandemia ha scosso la sicurezza delle persone. I pazienti si rivolgono a noi anche per una banale febbre a 37.5, ci chiamano anche se hanno il raffreddore per paura che sia il Covid. E soprattutto loro sono in tanti, e noi sempre di meno». Proprio il carico di lavoro sempre maggiore che pende sulle spalle dei medici di base, spiega il sindacalista, «spinge i colleghi più anziani a lasciare in anticipo la professione». Allo stesso modo, aggiunge, «i giovani appena abilitati non accettano di assistere 1.700 o 1.800 persone perché spaventati dalla mole di lavoro che si troverebbero a dover gestire senza avere alle spalle anni di esperienza». «Si pensi solo alla difficoltà di memorizzare e conoscere la storia clinica di migliaia di persone che sono all’inizio dei perfetti sconosciuti - puntualizza Immordino, invitando alla riflessione - e bisogna considerare anche tutti gli adempimenti burocratici che spettano ai medici di famiglia». Immordino ricorda quindi che al “dottore” si richiede oggi anche di fare «le vaccinazioni, sia per il Covid che quelle antinfluenzali, di prescrivere gli anticoagulanti al posto del cardiologo e prossimamente anche di fare il piano terapeutico per il diabete».