Forlì, ex "bonus Renzi", Cgil: "Cittadini molto disinformati"

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«Bisogna fare grande attenzione nella compilazione dei moduli sulle detrazioni fiscali e preoccuparsi di fare la certificazione Isee. Altrimenti, il rischio è di ricevere dei soldi in più che poi si dovrà restituire allo Stato nel 2023». Il tema che scotta, ma forse non abbastanza, è quello della “sparizione” del trattamento integrativo di 100 euro netti in busta paga per il lavoratore dipendente, (ex “bonus Renzi”), ma anche del passaggio dagli assegni per il nucleo famigliare all’Assegno unico. «Temo che molti cittadini non siano adeguatamente informati» confessa Maria Giorgini, la segretaria generale di Cgil Forlì, tornando a puntare l’attenzione su un tema per cui l’associazione sindacale era già scesa in piazza a Roma lo scorso 16 dicembre. Con le modifiche apportate dalla legge di bilancio, a partire da gennaio, continueranno a vedere la voce dei 100 euro netti in busta paga soltanto coloro che per l’anno corrente hanno (o si stima) un reddito lordo inferiore a 15mila euro. Per chi si posiziona invece nella fascia tra 15mila e 28mila euro è previsto un sistema di “compensazioni” con le detrazioni fiscali che può fruttare al massimo 1.200 euro. Nelle more della complessità del meccanismo, «ben lungi dall’essere semplificato», Giorgini evidenzia la storture concettuale della manovra. «Non è possibile pensare che in un Paese dove costituzionalmente esiste il principio della progressività fiscale i redditi più bassi siano quelli maggiormente penalizzati». Lo sciopero nazionale di dicembre era infatti motivato proprio dall’indignazione per il fatto che la manovra fiscale «finisce per peggiorare la situazione delle fasce più indigenti della popolazione a favore dei redditi medio alti. Ragion per cui, alla luce di quello che sta succedendo, il nostro sciopero acquista ancora maggior valore, soprattutto in un momento in cui energia e materie prime stanno aumentando e le famiglie devono fare fronte a spese sempre maggiori».

Le detrazioni

In base alla manovra, per i redditi tra i 15mila e i 28mila euro lordi, «ovvero la maggioranza delle persone del nostro territorio», il diritto al trattamento integrativo, spiega Giorgini, «è vincolato al reddito presunto annuo del 2022 e all’imposta lorda che ne consegue, ovvero il lavoratore dovrebbe già essere in grado a inizio anno di sapere esattamente quale sarà il suo reddito, quante tasse quindi dovrà pagare, e a queste, in un calcolo complesso e ragionieristico, detrarre le detrazioni individuate dal decreto. Poi bisogna verificare se queste siano o meno superiori all’imposta lorda: la differenza tra i due sarà il trattamento di cui ha diritto. È facile quindi capire che è impossibile che una persona possa compilare autonomamente il modulo delle detrazioni e per questo motivo consigliamo di rinunciare al trattamento integrativo in busta paga e di recuperalo poi in 730 l’anno successivo. Se ci fosse un errore sul reddito presunto o semplicemente un errore di calcolo il rischio è di trovarsi a dover ridare allo Stato fino a 1.200 euro l’anno successivo».

L’assegno unico

I disagi e le insidie per i lavoratori riguardano però anche il passaggio da Anf (assegno nuclei famigliari)all’Assegno unico. «Molte persone - rileva la sindacalista - non sono informate che con la busta di paga di marzo, quella che arriva ad aprile, non riceveranno più gli assegni in busta. È urgente dunque che le persone che hanno carichi familiari facciano l’Isee e la domanda per l’Assegno unico universale che verrà corrisposto non più in busta ma dall’Inps sull’Iban del richiedente». A proposito, Giorgini afferma di temere che «troppe poche persone siano correttamente e adeguatamente informate, d’altronde, il meccanismo è molto compleso». Intanto, la battaglia di Cgil con il governo va avanti. «Chiediamo un confronto serrato per andare a modificare gli effetti distorsivi della manovra».

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