E' uscito oggi "Almanacco Fellini" di Annamaria Gradara

Nato da una “impresa giornalistica” realizzata per il Centenario, è arrivato oggi in libreria Almanacco Fellini della giornalista riminese Annamaria Gradara. Questo libro raccoglie infatti buona parte degli oltre cinquanta articoli apparsi a cadenza settimanale (dal 23 ottobre 2019 al 30 dicembre 2020) sul Corriere Romagna per la rubrica “Federico Fellini: i 100 anni del genio riminese” che, insieme a ricerche dell’autrice, anche attraverso giornali d’epoca, vanno a delineare un ritratto del regista che si allarga alla sua “bottega” di collaboratori e alle grandi amicizie.

Gradara, come è avvenuto il primo incontro con il cinema di Fellini?

«Il primo incontro risale all’adolescenza: frequentavo il Liceo Linguistico di Misano e ci fecero vedere “La strada”. Rimasi colpita da quel folgorante bianco e nero e dal girovagare di Zampanò e Gelsomina. Ma la passione vera è nata e cresciuta con gli incontri della maturità e insieme alla passione per il cinema in generale. Intorno ai vent’anni, quando ho lavorato per festival come quello di Bellaria e di Taormina, e frequentando l’università a Bologna, è scoppiata la mia cinefilia. Vidi in quegli anni “La dolce vita” e “8 ½”. L’unico film di Fellini che vidi in contemporanea con l’uscita nelle sale fu l’ultimo, “La voce della luna” (1989), per gli altri ero ancora piuttosto giovane. Di sicuro “8 ½” esercitò un grande fascino e impatto fin da subito».

Questa passione come si è trasferita nel suo lavoro?

«Come giornalista ogni volta che ho potuto mi sono occupata di Fellini. Per l’esame da giornalista feci la tesina sul Fellini disegnatore. Agli inizi del Duemila curai lo speciale del quotidiano La Voce di Romagna per i dieci anni dalla morte di Fellini e intervistammo personaggi come Dario Fo, il poeta Andrea Zanzotto, l’attore Franco Interlenghi. Ora, con l“impresa” giornalistica intrapresa sul Corriere Romagna, la passione si è trasformata in febbre, credo incurabile. Posso dire che in quest’ultimo anno sono scampata al Covid19, non al virus Fellini».

Com'è nata l'idea di raccogliere gli articoli in un libro?

«L’idea è venuta all’editore, Simone Casavecchia, di Edizioni Sabinae, che avevo conosciuto scrivendo uno degli articoli della rubrica. Man mano si stava in effetti delineando una visione d’insieme intorno a Fellini che poteva avere le caratteristiche per essere trasferita in un libro, senza pretese di esaustività, con l’unica pretesa semmai di affermare/riaffermare l’unicità di un grande autore del Novecento di cui ricorreva il Centenario».

Quali tematiche sono emerse in fase di pubblicazione?

«Tra gli argomenti che mi stavano più a cuore già nel concepire la rubrica vi erano il tema delle donne e l’importanza della psicoanalisi e dell’universo onirico. Un altro aspetto era quello di dare una panoramica dei tanti collaboratori che hanno gravitato intorno al maestro, alla sua “officina”: dagli sceneggiatori, e nel libro ci sono tutti, a figure come Nino Rota, ma anche Rinaldo, Giuliano ed Antonello Geleng, o altri meno noti come Arnaldo Galli, il re del Carnevale di Viareggio, scomparso nel 2019. Quando ho costruito l’indice per certi aspetti è stato semplice immaginare un percorso. Poi ho voluto dare spazio anche a figure legate a Fellini che nel libro ho raggruppato nel capitolo “fratellanze”: da personaggi come Alberto Sordi, ad Arbasino, a Simenon».

Qualche aneddoto legato alle interviste che le piace ricordare?

«Avevo un gran desiderio di intervistare Sandra Milo, ma non per farle le solite domande sulla sua love story con Federico. E devo dire che l’ho trovata una donna sensibile e intelligente. Dopo l’intervista telefonica, sono anche riuscita a incontrarla a Bellaria nella stanza dell’hotel Ermitage dove era ospite (per ricevere il Premio alla carriera al Bellaria film festival). Abbiamo parlato come due amiche sedute ai bordi del letto e mi ha anche chiesto consigli sull’abito da indossare per la serata. Un’altra intervista che mi ha dato una grande emozione è stata quella con Moraldo Rossi: fu amico e collaboratore di Fellini, l’ispiratore del personaggio di Moraldo ne “I vitelloni”. Abbiamo parlato al telefono, lui a Roma, ed era ancora molto arzillo. Purtroppo è morto il mese scorso, a 94 anni».

Fellini e Rimini. Emerge anche questo aspetto?

«In realtà gli articoli, e di conseguenza il libro, non erano pensati per raccontare la riminesità di Fellini. Non per snobismo, ma per una scelta precisa: volevo aprire un po’ gli orizzonti, fermo restando che il legame tra Fellini e Rimini è e resta imprescindibile. E bene che con il Museo Internazionale stia nascendo qualcosa davvero all’altezza del personaggio. Volutamente ho evitato di ritornare su questioni che ritengo sia il tempo di superare, come quella del rapporto controverso tra Fellini e la sua città natale. Nel libro poi ci sono anche Gambettola e la nonna Franzscheina».

Secondo lei in che modo a Fellini sarebbe piaciuto essere ricordato e celebrato?

«Senza troppa retorica, sicuramente. Per certi versi, il sovvertimento che l’emergenza Covid19 ha provocato alle celebrazioni del Centenario ha un che di felliniano. Se non fosse per la drammaticità degli eventi che ci hanno sommersi, non sarebbe forse dispiaciuta a Fellini una “manina” dispettosa. Ciò detto, uno dei modi migliori per ricordarlo è agevolare la visione dei suoi film». Annamaria Gradara, “Almanacco Fellini”, Edizioni Sabinae, 2021, pp. 228, euro 16,00. In libreria da lunedì 19 aprile

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