Elisabetta Sgarbi a Bellaria con il suo film sugli Extraliscio

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Uno striscione in cielo con la scritta che taglia il blu di una giornata solare: “Extraliscio punk da balera”. A Venezia, al Lido, durante la Mostra del cinema ci voleva un pizzico di Romagna per fare esplodere la voglia di ballare. La Romagna e il liscio. Gli Extraliscio. Ce li ha portati Elisabetta Sgarbi, editrice e regista, con il suo ultimo film “Extraliscio. Punk da balera – Si ballerà finché entra la luce dell’alba”, presentato alle Giornate degli autori. Un film che nasce da un innamoramento per la band di Mirco Mariani (San Piero in Bagno, 1969), Moreno Conficconi “il Biondo” (Meldola, 1958) e Mauro Ferrara (in realtà Carlini, Argenta, 1948). Scoperti per caso da Elisabetta Sgarbi, che oggi sarà con la sua nuova creatura cinematografica al “Bellaria film festival”, per una proiezione (ore 21.30 al Palacongressi) fuori concorso che si annuncia già scoppiettante.

Sgarbi, l’incontro con gli Extraliscio è avvenuto attraverso lo scrittore Ermanno Cavazzoni. Come è successo? E come è nato il suo innamoramento per questa formazione?

«In effetti io li ho incontrati per la prima volta nel racconto che me ne ha fatto Ermanno Cavazzoni, che mi ha indotto a invitarli alla Milanesiana. Qui li ho visti all’opera, e ho avuto un primo abbaglio. Non avevo capito a sufficienza, ma mi ero incuriosita, così ho inventato una nuova serata della Milanesiana per poterli rinvitare. Ho capito qualcosa di più, e alla fine di quella serata a luglio dello scorso anno, il 2019, ho deciso di fare un film su di loro; che poi il cinema è il mio modo di approfondire. È la mia verticalità. Dovevo farlo a tutti i costi, anche senza produttore, senza finanziamenti esterni. È una produzione indipendente, sono io. Ma Ermanno Cavazzoni e quel suo primo racconto sono rimasti vivi in me. D’altra parte il fatto che tutto parta da un racconto di Cavazzoni fa intuire quale vastità ci sia dentro gli Extraliscio. Cavazzoni è forse tra i nostri scrittori più imprendibili: lunare, comico nel senso della più alta tradizione comica della nostra letteratura, ariostesco, anti intellettualistico pur essendo coltissimo. Solo una persona del suo livello poteva intuire cosa c’era nel mondo degli Extraliscio».

Perché la voglia di fare un film su di loro?

«Il film nasce da qualcosa che non so, da una improvvisa curiosità, da una passione improvvisa per questo gruppo. Il suggerimento di Ermanno mi era parso subito sorprendente: cosa ha a che fare Cavazzoni con il liscio? Eppure appena li ho ascoltati dal vivo ho intuito un mondo dietro di loro che potevo raccontare, che il cinema mi dava la possibilità di raccontare».

È anche un film attraverso il quale va alle sue origini che lambiscono anche la Romagna, un attraversamento di memorie personali.

«Nostra madre Rina era di Argenta, di Santa Maria di Codifiume, al confine tra Ferrara e Ravenna, tra due mondi, quello emiliano e quello romagnolo. Aveva l’esuberanza e la vitalità della Romagna e una sottigliezza e capacità di analisi emiliana. Il film è dedicato a lei».

Chi sono gli scrittori, o poeti, di questa nostra terra che ama?

«Sono stata l’editrice di Tondelli per molti anni, che era di Correggio ma della Romagna e della Riviera è stato un cantore. Amo molto Marco Missiroli da Rimini, lo seguo sin dai primi romanzi. Scrittore inclassificabile, di Reggio Emilia, è Ermanno Cavazzoni, una mia grande passione».

C’è spesso il Delta del Po nei suoi racconti cinematografici, ci sono i territori della Mitteleuropa, ora c’è la Romagna. C’è un filo che lega questa geografia, questo spostamento?

«Sono tre luoghi di elezione: Trieste è stata una scoperta della maturità, un amore maturo e trascinante. Il Delta del Po è per me Gian Antonio Cibotto, la mia adolescenza con lui, a girare per teatri e trattorie. La Romagna e Ferrara sono le mie origini naturali, quelle che ci si porta dentro sempre. C’è sempre Ferrara nei miei film, in questo c’è un cantautore che amo molto, Vasco Brondi».

“Extraliscio. Punk da balera – Si ballerà finché entra la luce dell’alba”. Perché questo titolo?

«Era una frase affissa all’ingresso dei capannoni: “Si ballerà finché entra la luce dell’alba”. Il liscio (e Extraliscio) è questa generosità, questa dedizione al fare musica per fare ballare. Senza l’orologio al polso e l’occhio al portafoglio».

Il suo rapporto con il ballo?

«Gli Sgarbi, a Stienta, erano più di uno. Così, per distinguerli, avevano dei soprannomi: la famiglia di mio padre era soprannominata “Ballarin”. Mio padre ballava bene e non dubito che abbia conquistato anche così mia madre, che amava ballare, e a cui è dedicato il film. A me ha insegnato a ballare il valzer. Ma non ho mai ballato i balli cosiddetti “lisci”».

E con la musica?

Volevo fare la cantante rock da piccola. Mi vennero anche a fare una proposta a casa, ma mia madre me lo impedì. Ma le passioni covano sotto la cenere».

Ha iniziato a girare film, corti poi lungometraggi, nel 1999. Come è nato il suo desiderio di raccontare attraverso una telecamera o macchina da presa? E perché rimane oggi così vivo?

«Avevo problemi sul lavoro, e avevo un problema all’occhio. Così ho iniziato a guardare il mondo con una telecamerina e a girare le prime cose con Paolo Mosca. Guardavo sempre “Fuori orario” e il cinema è diventato parte di me».

Sarà a Bellaria, un posto che conosce già e che oggi continua a tenere in vita un festival che alle sue origini fu diretto anche da Enrico Ghezzi, che ne fu “anima” per diversi anni. Ha dichiarato di essere una sua “adepta” in fatto di cinema. Come editrice ha anche pubblicato suoi libri. Cosa le ha insegnato?

«Bellaria e il Festival di Torino sono stati i luoghi dove ho esordito, c’erano figure straordinarie come Enrico Ghezzi, Roberto Turigliatto, Steve Della Casa. L’importanza di Enrico Ghezzi nella cultura e nel cinema è assoluta: attraverso “Fuori orario” e i festival che ha diretto ha dato la possibilità a registi straordinari di fare film fondamentali per la storia del cinema. Una quantità notevole di registi ha potuto sopravvivere e lavorare e fare vedere i propri film grazie a “Fuori orario”: è stato pressoché l’unico vero servizio pubblico prestato dalla Rai negli ultimi venti anni».

Pupi Avati sta girando un film sulla storia della sua famiglia, tratto dal romanzo di suo padre, “Lei mi parla ancora”. A che punto sono le riprese? Ci può dare qualche anticipazione?

«Le riprese sono terminate. Sono al montaggio. C’è un cast eccezionale: Renato Pozzetto, Stefania Sandrelli, Isabella Ragonese, Fabrizio Gifuni, Serena Grandi nel ruolo di nostra nonna Clementina (dovrebbe essere in sala a Bellaria), tutti diretti con grande sapienza da Pupi Avati che ha scritto una sceneggiatura meravigliosa».

Lei è editrice, regista, organizzatrice di un grande evento come la “Milanesiana”. Qual è il segreto per riuscire a fare tutte queste cose insieme e farle bene?

«Pensare che il tempo non esiste, che il tempo sta nelle cose che facciamo, non fuori dalle cose che facciamo. “Non avere tempo” è una delle tante frasi retoriche che abbiamo imparato a dire».

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