Elena Fucci si racconta "Così tutto è iniziato"

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Quella di Elena Fucci e della sua omonima azienda è la storia di un’avventura iniziata 21 anni fa tra le bellezze del paesino di Barile e il verde fogliame dei vitigni di Aglianico del Vulture. Siamo in Basilicata, uno dei luoghi simbolo dei grandi vini del Sud Italia, di cui Elena è tra le interpreti più particolari e raffinate con le sue bottiglie dal marchio “Titolo”.

Nel 2000, dopo aver preso il diploma al liceo scientifico, appena 18enne sceglie di dedicare la sua vita alla produzione del vino. Come è nata in lei questa passione?

«Sono nipote di contadini e figlia di due insegnanti, mia mamma di matematica e mio padre, oggi in pensione, di fisica meccanica. Nell’estate del 2000 nel mio futuro vedevo tutto tranne che una vita in campagna. Stavo per diplomarmi ed ero pronta a lasciare Barile per andare a studiare ingegneria genetica all’università».

E poi, cosa succede?

«Scopro che avremmo venduto i vigneti di famiglia e l’annessa casa dove ero cresciuta. Onestamente, mi è preso un colpo».

Un colpo che la porta a decidere di rivoluzionare tutti i suoi piani?

«Prima di tutto ho cominciato a documentarmi. In famiglia nessuno pensava che qualcuno avrebbe portato avanti i vigneti dei miei nonni, i quali da giovani avevano fatto tanti sforzi proprio per evitare che i loro figli facessero i contadini. E infatti i miei genitori sono diventati entrambi insegnanti».

Tuttavia, lei, decide di tornare alle origini…

«Tutto cambia tra luglio e agosto di quel 2000. Dopo aver sostenuto la prova orale ed essermi diplomata, capisco che il mio futuro sarà nella vigna. A settembre mi iscrivo alla facoltà di viticoltura ed enologia di Pisa e, provando a guardare la scelta fatta con gli occhi di allora, quando questo mestiere non aveva certo il fascino e l’attenzione di oggi, fu una specie di salto nel vuoto. Ma i miei genitori si fidavano di me e mi supportarono mettendomi a disposizione i risparmi di una vita. Così è iniziata l’azienda “Elena Fucci” con appena 1.200 bottiglie prodotte. Oggi siamo a 7,5 ettari di vigneti e 35mila bottiglie».

Insomma, si può dire che i suoi genitori avessero visto giusto. Dato il successo ottenuto, mi dica, qual è il: “metodo Fucci”?

«Vivere l’azienda a 360 gradi. Per noi il lavoro non è diviso dalla vita, ma è uno stile di vita. Crediamo in un progetto e lo portiamo avanti con passione da 21 anni, al punto che la nostra casa è dentro l’azienda. Le cose, qui, non sono nate da un business plan, perché un progetto imprenditoriale lo è diventato col passare del tempo. “Metodo Fucci” vuol dire investire nella qualità, vuole dire preservare il territorio, vuol dire fare “giardinaggio”, perché la nostra non è più semplice viticoltura, data l’attenzione per i dettagli e la cura che mettiamo».

Lei è sempre stata attenta al tema della sostenibilità. Ma tutela dell’ambiente, in un’azienda vinicola, cosa vuol dire nella pratica?

«Vuol dire, ad esempio, essere certificati biologici sia in vigna che in cantina. La nostra nuova cantina è una bio architettura realizzata da legno riciclato ed è autonoma dal punto di vista dei consumi, grazie ai pannelli solari che ci permettono di produrre l’energia di cui abbiamo bisogno. Inoltre, abbiamo un sistema di filtraggio dell’acqua piovana, che poi riutilizziamo per i lavori quotidiani. È un tema a cui tengo molto, ma siamo onesti: se ancora andiamo a rilento è perché c’è troppa burocrazia».

Ci può fare un esempio vissuto in prima persona?

«Quando abbiamo dovuto fare la variante di progetto per cambiare i materiali della cantina, passando dal cemento a quelli ecologici, abbiamo perso un anno e otto mesi. Vuol sapere perché? Quei materiali non erano presenti nei libri mastri della Regione e quindi abbiamo dovuto presentare decine di relazioni. Alla fine, ce l’abbiamo fatta e la cosa più incredibile è che, tra l’altro, si tratta di materiali tutti italiani prodotti tra il Friuli e l’Alto Adige. Non valorizziamo nemmeno le nostre peculiarità interne».

Un’ultima domanda: come vede il vino del Sud Italia oggi?

«Lo vedo molto più maturo. Da una decina d’anni finalmente abbiamo preso coscienza di cosa abbiamo per le mani e stiamo iniziando a valorizzarlo. La previsione, secondo me, è quindi di un futuro in ascesa».

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