E' arrivata la stagione di marroni e castagne, come si difendono

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In questi giorni quei templi del silenzio che sono le selve di castagni si riempiono di voci e presenze. I ricci spinosi “aprono la bocca” ovvero cominciano a lasciare intravedere i marroni e le castagne che hanno cresciuto al loro interno e che nel volgere di poco faranno cadere a terra. A Castel del Rio, terra dell’omonimo marrone Igp, la raccolta è cominciata in questi giorni e si protrarrà per le quattro settimane di ottobre. Come del resto la sagra che all’ombra del castello alidosiano si festeggia da ben 65 anni. «Da disciplinare la raccolta comincia il 6 ottobre proprio per farli arrivare alla giusta grossezza, per evitare che possano essere confusi con il prodotto che esce prima un po’ dappertutto – spiega Giuliano Monti, produttore e ristoratore che presiede il Consorzio dei castanicoltori locali, 29 quelli soci ma di fatto i possessori di piante sono almeno una settantina –. Per la stessa ragione ci siamo battuti per cominciare con la festa la seconda domenica di ottobre, per lasciar maturare a dovere il frutto che deve essere sufficientemente grosso e non è facile, specie in annate siccitose come questa».

Che raccolto sarà

Le selve di castagneti, molto dei quali secolari, si estendono nella valle del Santerno per circa 600 ettari fino a un’altitudine di 800 metri. Un raccolto normale vorrebbe 10 quintali per ettaro, circa 6000 quintali in totale. Ma di raccolti normali, per una ragione o per l’altra, non se ne vedono da anni. «Tre anni fa andò meglio dopo anni di lotta conto la vespa cinese, ma l’anno scorso siamo scesi di nuovo a 2200 quintali e quest’anno saranno la metà: non è mai piovuto», spiega Monti.

Chi insidia il castagneto

Come racconta sempre Giuliano Monti «i castagneti nessuno li vende, perché dietro c’è sempre una storia di famiglia, al massimo si affittano per riprenderseli prima o poi». Un legame forte che prende gli uomini e le donne che vigilano sulle loro selve con una caparbietà che negli ultimi dieci anni da questi anni è stata davvero implacabile. Nel 2011 quando è arrivata la vespa cinese sono cominciati i guai seri, che già il cambiamento climatico aveva annunciato mutando le stagioni. La lotta si è fatta strenua. «Molti castanicoltori sono diventati anziani, la vespa cinese ha fatto disinnamorare qualcuno, ma di castagneti abbandonati non ce ne sono, se non piccolissime porzioni poco produttive, c’è sempre qualcuno che se ne prende cura – spiega Giuliano Monti –. La vespa cinese è arrivata, forse attraverso materiale da innesto da altre regioni, nel 2011 nella selva di Sestetto poi si è allargata a osta, Massa, Maddalena. Le larve vivono 11 mesi nel legno, non fanno morire la pianta ma seccano tutte le foglie e il frutto non cresce. Una decina di anni fa dall’alto si vedevano le selve con le foglie tutte arrossate e non si raccoglieva più nulla. Tempo un paio d’anni e abbiamo cominciato con i lanci dell’antagonista naturale, il torymus sinensis. Almeno 120 lanci in meno di 3 anni, con un costo anche piuttosto alto. Dal 2016/2017 abbiamo cominciato a trovare le galle (le malformazione che si formano sulle foglie, sui rami, sul tronco e sulle radici dei vegetali per la presenza in questo caso degli insetti, ndr) parassitizzate dall’antagonista. Ci illudemmo di averla battuta, ma la vespa cinese c’è ancora, ora colpisce alcune zone più in alto. A volte però è anche per colpa di pratiche agronomiche sbagliate che perdurano e che cerchiamo costantemente di scoraggiare anche con appositi cartelli, come quella di bruciare le ramaglie, dove il loro antagonista vive fino al momento opportuno della primavera. Comunque il peggio con la vespa sembra superato. Solo che il clima invece continua a cambiare e la siccità è un dato di fatto».

Difesa del suolo e di un sapore

Il castagneto insomma è un ecosistema complesso che l’uomo dovrebbe modificare meno possibile a cominciare dal suolo, mantenendo lo strato di foglie senza soffiarle via o, appunto, bruciarle. Uno studio recente della Regione sui castagneti storici ha descritto come i suoli di queste selve trattengano naturalmente grandi quantità di anidride carbonica, contribuendo a combattere esse stesse il cambiamento climatico. Questo se mantenute allo stato naturale. «Inoltre i castagni hanno bisogno di alimentarsi e questo possono farlo solo attraverso un suolo ricco. Perciò da qualche anno insistiamo molto per lasciare i materiali di risulta della raccolta e della potatura nelle radure», sottolinea Monti

Le ricette

resta il fatto che ogni anno di questa stagione a tutti vien voglia di marroni e castagne. I primi si differenziano dalle seconde per la grossezza, la buccia rigata, il sapore più dolce e intenso e la facilità nel pelarli dalla pellicola interna che è liscia e non increspata. La maggior parte si consumano freschi, arrosto. Raramente i marroni si essiccavano o si trasformavano in farina. Passata la prima settimana, per conservarli almeno fino a Natale devono essere “curati in acqua”. «Una volta questa breve fermentazione avveniva ammucchiandoli nelle ricciaie, ora non più –spiega Monti –. Ora vengono immersi per 4/5 giorni in acqua, i bacati vengono a galla, quindi si schiumano e si asciugano naturalmente all’aria muovendoli spesso. Così durano almeno fino a Natale». E proprio un piatto della vigilia nella Vallata del Santerno è a base di marroni: i capaltaz. Grandi ravioli a forma di cappelletto fatti con una sfoglia di sola farina e acqua ripieni di marroni cotti e schiacciati, composta di frutta e spezie, bolliti e serviti con olio e pepe.

L’ accoglienza in Cantinaccia e a Ca’ Monti. Antiche mura e accoglienza. Giuliano Monti è custode dei sapori della Vallata del Santerno, impegnato non solo come presidente del Consorzio castanicoltori di Castel del Rio. Dall’anno scorso, infatti, è stato incaricato di rivitalizzare un posto cruciale per la promozione della vallata gastronomica, La Cantinaccia, al piano terra del suggestivo e antico Palazzo Alidosi, accessibile dalla centralissima via Montanara a Castel del Rio. Qui si concentrano alcune delle produzioni di chi aderisce alla Strada dei vini e dei sapori dei Colli di Imola (vini, confetture, prodotti da forno, castagne essiccate e birra di castagne, confetture, sottoli, scalogno e altri), che si possono acquistare e degustare in occasioni particolari nel week end, e la domenica mattina funge da punto di riferimento per l’informazione turistica. Del resto per Giuliano Monti e la sua famiglia l’accoglienza è un mestiere da tempo, affinato nel bell’agriturismo di famiglia Ca’ Monti, a cavallo fra i territori di Casalfiumanese e Castel del Rio. Negli anni ha sempre aumentato l’offerta di qualità, con la produzione diretta, la ristorazione e l’accoglienza nella locanda. Dal casolare in sasso del 1700, adibito a osteria fin dai primi del 1900 e noto come Osteria di Stellina (dal nome di Stella Vicchi, moglie di Luigi Monti, fratello del bisnonno dell’attuale titolare), e che costituisce il fulcro di Ca’ Monti, l’agriturismo si è allargato e comprende oggi anche la fattoria “Morea di Sopra”. Qui si allevano suini di razza Mora romagnola e si coltivano gli ortaggi e i frutti per la cucina, compresi anche frutti selvatici. Giuliano Monti ha infatti creato una piccola piantagione di more selvatiche e di sambuco da cui ricava frutti per le confetture e per alcuni prodotti originali come il succo di fiori Sambukè e il condimento Sambuchella, da frutti della stessa pianta, buono su ricotte, formaggi, gelati, ma soprattutto sui tradizionali cappellacci di castagne, che da piatto tipico della Vigilia qui è diventato un piatto simbolo di Castel del Rio.

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