"Dream on", il sogno di Aga tra verticale e orizzontale

“Dream on” è il nuovo album che porta la firma del musicista e producer romagnolo Aga (Alessandro “Gomma” Antolini, di Longiano) tra influenze neo psichedeliche ed elettroniche europee e desiderio di narrazione, di mettere in musica immagini mentali, ricordi e memorie oniriche.

Antolini ha alle spalle una carriera ventennale, costellata da una serie di incontri musicali importanti, con il maestro Ezio Bosso per esempio o con I Granturismo con cui ha militato come batterista. Il disco, autoprodotto, si avvale dell’ausilio di Franco Naddei (Cosabeat Studio), Gianluca Lo Presti (Loto Studio 2.0) e Stefano Casti e arriva a tre anni di distanza da “R[evolution]”, il suo lavoro d’esordio. Con una svolta significativa rispetto al passato: le sette tracce dell’album, infatti, questa volta sono interamente in italiano e non più in inglese.

Come nasce “Dream on”?

«Nasce dalle ceneri di “R[evolution]”. Lì ho avuto piacere di realizzare un lavoro per codificarmi con una dimensione sognante, onirica, notturna con una luce fioca per così dire, dal punto di vista dell’immaginario. “R[evolution]” era un album piu cinematico, “Dream on” è piu volto al racconto».

È un disco d’amore?

«I brani raccontano di “Respiro”, di relazioni, di un lui e una lei che si toccano, ma non riescono a prendersi. Un lui e una lei che possono essere tutti i lui e tutte le lei del mondo. È un disco scritto per necessità tenendo fede alla “parola come suono”, che racconta episodi di vita rivissuti».

Perché la scelta di passare alla lingua italiana?

«Semplicemente mi trovo meglio a esprimere i concetti in italiano. L’inglese è più sonoro, ma noi abbiano molte più metafore rispetto ad altre lingue. L’italiano si presta molto di più al racconto e quindi è perfetto per questo disco».

Ha affermato di aver vissuto questa produzione come trasformazione all’insegna del «nulla si crea e nulla si distrugge». Quindi la musica non è mai qualcosa di inedito?

«È un po’ un Leitmotiv questo: nessuno di noi è capace di creare qualcosa ex novo. La creazione non è altro che una trasformazione di quello che è già esistente, però con ingredienti rimescolati e dosi diverse».

Ha volutamente optato per un disco che esula dalle mode del momento?

«Mi hanno dato del coraggioso. In realtà, in maniera molto istintiva, mi sono buttato dentro ai miei approcci musicali, quindi ho privilegiato le sonorità elettroniche miscelate a quelle acustiche. Per quel che riguarda la creazione, a me piace molto sentirmi in linea con i tempi, con un occhio rivolto al passato, senza mai cadere, però, nel nostalgico. Diciamo che è un disco che fa da ponte, tra passato e contemporaneo con riferimenti evidenti agli anni 80 e 90 e non solo».

Si definisce un cantautore?

«Mi hanno definito spesso un cantautore. Questo termine mi riporta ai grandi nomi della musica, come Guccini, De André, Lauzi. Io però sono molto settoriale, non amo la verità nelle scritture e in questo senso mi discosto dall’ambito cantautoriale. Non voglio insegnare niente, non voglio che venga fuori un concetto del “io so qualcosa che tu non sai”. Mi limito a descrivere, poi chi ascolta si può immedesimare o meno in quella dimensione».

Cosa significa essere un artista oggi?

«Se uno crea e ti dà emozioni è un artista. Questo concetto si è un po’ perso nel corso del tempo. Oggi è considerato più artista un calciatore che un musicista e questo ci deve far riflettere su cosa è veramente il bello».

Con “Dream on” ci troviamo di fronte a un concept album?

«Il disco lo si può leggere in due maniere diverse: verticale, ovvero ascolti la canzone e finisce lì. Oppure lo si può leggere in maniera orizzontale, quindi ascolti le tappe di un percorso che ho fatto e in quel senso diventa un concept. Ogni canzone si regge in piedi da sola, evolvendosi però in un’unica storia. Come dicevano i Cccp, resto fedele alla linea, vivo la musica così, in maniera viscerale. Non riesco a fare questo percorso al di fuori di me».

Musicalmente qual è il mondo del disco?

«È una commistione di elettronica e acustica. Che poi sono i miei parametri di riferimento principali sulla scia per esempio dei Primal Crimes. Sono affascinato dalla musica suonata, dalle sonorità che hanno un rimando elettronico. L’elettronica di per sé è troppo robotica, la musica acustica troppo retrò, mentre io ho bisogno di contemporaneità. Quando sento una batteria registrata come negli anni 70 mi dà sempre un alone di malinconia, preferisco aiutarmi con i mezzi di oggi e creare la musica con l’ausilio dei software. Nel live, invece, sono integralista, vorrei che ogni singolo suono fosse live».

Ha già in programma un nuovo lavoro?

«Ho in mente un album di cover. Con il mio terzo disco vorrei codificarmi attraverso i brani di altri. La parola chiave del prossimo lavoro sarà strettamente legata alle immagini».

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