Consumo del territorio: la Romagna sale al 10%, quasi il triplo della media europea

Il dato da cui partire è questo: quasi 50 mila ettari di territorio romagnolo sono ricoperti dal cemento. È l’esito di anni e anni di profonde trasformazioni subite da questa porzione d’Italia, che nei decenni è diventata un polo industriale di prim’ordine, un centro turistico tra i più forti del Paese e che detiene, non da ultimo, uno dei porti commerciali maggiormente strategici dello Stivale, con rotte dirette verso il Mar Nero e un piano di sviluppo futuro da centinaia di milioni di euro. Ciò vuol dire strade, ferrovie, fabbriche, capannoni, piccole e medie imprese, alberghi, nuovi insediamenti urbani e chi più ne ha più ne metta, quale ovvia conseguenza di un sistema che trovandosi a crescere economicamente si adopera per diventare concorrenziale e attrattivo.

Esiste però quella famosa massima per cui i nodi, prima o dopo, vengono al pettine. E quando si parla di cementificazione, il nodo primario su cui ci si dovrebbe interrogare è quello dell’impermeabilizzazione dei suoli. Specie in un territorio quale è la Romagna, dato che i drammatici avvenimenti delle scorse settimane hanno ricordato quanto è fragile, riportando in auge il tema della prevenzione e anche di politiche errate, come quella del troppo cemento.

Tornando ai numeri, i dettagli raccolti da Ispra e aggiornati al 2021 dicono che la provincia con la maggior estensione di suolo consumato in proporzione alla superficie totale è Rimini, con il 12,4%, pari a 11.417 ettari cementati. Segue subito dopo Ravenna, con una percentuale di cemento del 10,17%, ossia quasi 19 mila ettari ricoperti. Chiude la classifica Forlì-Cesena, che con 17.300 ettari di suolo consumato ha un tasso di cementificazione del 7,27%.

Il confronto

Disposti uno in fila all’altro questi numeri potrebbero sembrare poco significativi, ma se messi a confronto col resto d’Italia e addirittura con l’Europa intera si comincia a tracciare il perimetro di quanto selvaggia sia stata la ferocia costruttiva che ha colpito la Romagna. La media italiana di consumo del suolo, stando sempre ai numeri dell’Ispra, è del 7,13%, la media dell’Emilia-Romagna dell’8,9% (quarta in Italia dopo Lombardia, Veneto e Campania), quella della sola Romagna addirittura del 10,12%. E l’Europa nella sua interezza? Supera di poco il quattro per cento.

Stabilire delle soglie oltre le quali i rischi congiunti al troppo cemento diventano davvero pericolosi, come dicono gli esperti, non è cosa immediata, perché dipende dagli aspetti peculiari di ogni singolo territorio considerato. Ma è un fatto che la Romagna è tra le aree a maggior rischio idraulico e di frana in Italia.

Il consumo continua

Il problema è che chi vorrebbe archiviare questo fenomeno a un brutto vizio del passato – nel quale la sensibilità verso temi come l’ambiente o la cura del territorio erano minori – sbaglia di grosso. Negli ultimi quindici anni, lo confermano le rilevazioni fatte dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, il territorio consumato a Ravenna è cresciuto quasi di un punto percentuale e quello nelle provincie di Rimini e Forlì-Cesena quasi di mezzo punto.

Guardando ancora più in piccolo ai singoli comuni, sono ben diciotto quelli che dal 2006 al 2021 hanno aumentato la quantità di cemento oltre l’uno per cento, con Gatteo in testa a quota 3,24%, seguita da Forlimpopoli, Cattolica, Cotignola e Alfonsine.

Se guardiamo poi al solo 2021, i dati diventano ancora più sconfortanti, in quanto Ravenna, con 68,7 ettari di suolo consumato in più, è stato il secondo comune d’Italia dopo Roma per incremento di cementificazione rispetto al 2020. Il malcostume, insomma, è tutt’altro che vecchio, ma bensì attualissimo, e questo nonostante la legge regionale del 2017 che puntava a limitare il consumo di territorio all’interno della Regione.

Newsletter

Iscriviti e ricevi le notizie del giorno prima di chiunque altro Clicca qui