Commemorazione: il ravennate Archildo Babini

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Due anni fa Archildo Babini (San Michele di Ravenna 1919- 2020) lascia la Romagna dopo una lunga vita avventurosa dedicata alla passione artistica. Arruolato in Marina, è imbarcato sull’incrociatore “Alberico da Barbiano” affondato la notte fra il 12 e 13 dicembre del 1941 al largo di Capo Bon in prossimità della costa tunisina dai cacciatorpedinieri alleati.

Sopravvissuto al naufragio e rientrato in Italia, soggiorna a Venezia dove riprende a dipingere, una inclinazione che coltiva fin da ragazzino e che manterrà per tutta la vita. Purtroppo dopo l’armistizio tra il Regno d’Italia e le forze alleate dell’8 settembre 1943, viene arrestato dai tedeschi e deportato come tanti marinai italiani nel lager della Polte-Werke, la grande fabbrica di munizioni del Magdeburgo, sottocampo di concentramento di Buchenwald.

«Inferno e tortura per tutti i prigionieri…» recita il cartello all’ingresso del Memoriale costruito negli anni Novanta. Non a caso quindi il titolo delle testimonianze dell’artista raccolte in “Fuga dall’inferno” edito da Il Girasole nel 2008. Sopravvissuto un’altra volta, ritorna a casa, repubblicano convinto, per riprendere la sua attività di ebanista intagliatore, liutaio, scultore e poeta: nel 1986 pubblica la raccolta di poesie dialettali “Da la Rumagna cùn e còr”.

Ma è principalmente pittore ispirato dalla sua terra che racconta come un viaggiatore nei luoghi a lui familiari, i paesaggi della pianura e delle valli dove si svolge la quotidianità degli uomini e delle donne che vi lavorano.

Pratica una pittura vivace e sincera, di facile lettura, che attira e commuove chi la guarda. Schivo e riservato per carattere, le sue poche partecipazioni a premi e concorsi ottengono sempre riconoscimenti come all’estemporaneo nazionale di pittura a Marina di Ravenna nel 1969 e nel 1981 e all’interregionale di pittura estemporanea a Montefiore nel 1973 e nel 1981.

La mostra del 2016: “Archildo Babini. Il pittore della memoria contadina e del paesaggio romagnolo” curata da Angela Corelli nel Museo della vita contadina di San Pancrazio di Russi, è la sede ideale per l’ultimo appuntamento significativo di oltre ottant’anni di produzione artistica. Come succede spesso col progredire dell’età, i pittori impegnati per l’intera vita a rappresentare la realtà nelle loro opere, pur mantenendone la matrice, modificano il loro atteggiamento sfumandone i contorni, sostituendo il segno col colore che diventa artefice e protagonista della forma. Il filtro dello specchio è il ricordo. Così Babini da grande vecchio realizza pastelli e acquerelli che esplodono nella loro vivacità rivelando scenari illuminati dall’essenza coloristica di una memoria straordinariamente presente e vitale. È il punto di arrivo: una pittura meno formale e meno soggetta a condizionamenti, piacevolmente fatta di suggestioni, sicuramente meno ingenua di quel che può sembrare.

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