Cola Pesce si tuffa in Adriatico
DI ANNAMARIA BERNUCCI
Cola Pesce è il titolo di una antica leggenda diffusa nel Mediterraneo, da Napoli a Messina a Catania. Ne esistono ben diciotto varianti. Italo Calvino la colloca tra le sue Fiabe italiane, preziosa selezione della tradizione orale delle favole delle diverse regioni italiane trascritte in lingua dai vari dialetti, uscite da Einaudi nel 1956. L’interesse suscitato da questa favola, tuttavia, ha continuato a colpire nel tempo, da Benedetto Croce a Leonardo Sciascia a Raffaele La Capria, che nel 1974 dedica un lungo racconto alla figlia ispirandosi alla storia.
Fabio Fiori, scrittore e marinaio, ne ha ricavato una nuova versione rivisitando la favola, complice il suo acutissimo senso del mare e la sua capacità affabulatoria. Si intitola Cola Pesce e Burdela Turchina e trasferisce verso una sponda nuova, adriatica e romagnola, le avventure di Cola Pesce, mentre la storia prende sfumature ecologiche grazie all’apparato illustrativo di Gabriele Geminiani.
Nicola, figlio di un pescatore, era soprannominato Colapesce per la sua abilità nel muoversi in acqua e in apnea e, di ritorno dalle sue innumerevoli immersioni, riportava racconti e tesori fantastici, tanto che il re di Sicilia e imperatore Federico II di Svevia decise di metterlo alla prova. La storia naturalmente continua... e non la si vuole svelare.
La favola – tiene a precisare Fiori – è una delle poche di ambientazione marina del repertorio italiano che ne annovera una decina in tutto. Anche il grande Giuseppe Pitré, etnologo e fondatore delle discipline folcloriche, la ricorda per la sua particolarità.
Cola Pesce e Burdela Turchina è un piccolo scrigno narrativo, dove le vite di persone e animali si intrecciano alla magia e alla meraviglia senza tempo del mare e delle sue leggende. Creatura ibrida mezzo uomo e mezzo pesce, può sembrare un’anticipazione del Kevin Costner di Waterworld e di quel apocalittico mondo acquatico raccontato nel film.
La presentazione di Cola Pesce e Burdela Turchina – un piccolo libro edito a Rimini da Nfc, progettato e stampato con qualità e garbo, frutto di un lavoro grafico d’equipe messo in piedi da Gabriele Geminiani (con l’artista spagnolo José Beeme) – è avvenuta di recente in un contesto balneare. Una “ospitata” dal mitico “bagnino d’Italia” Gabriele Pagliarani sulla spiaggia più affollata di Marina Centro.
Gli autori possiedono un serbatoio di esperienze molteplici, per alcuni versi assimilabili. Intanto una formazione scientifica: biologo Fabio Fiori, studi di medicina veterinaria Gabriele Geminiani, ma entrambi, seguendo le rispettive inclinazioni, liberi da paratie, coltivano proprie pulsioni emotive e artistiche.
Fiori è ricercatore e insegnante, si occupa di ecologia marina, appassionato di vela, è un navigatore compulsivo. Ha narrato storie di viaggio e di mare per Rai Radio Tre; i suoi titoli dicono molto delle sue propensioni: si citano per brevità solo Ànemos e Abbecedario adriatico accresciuto e ristampato di recente. Si è misurato inoltre anche con la narrativa con il romanzo Il vento e i giorni nel 2017. L’aura mediterranea si palesa in ogni angolo dei suoi racconti. C’è una relazione sensoriale, carnale e spirituale assieme, con l’aria, l’acqua salata, il vento, l’odore del mare che Fiori sa esprimere. E anche questa favola va interpretata come un documento testimoniale di questo suo sentire. Da diversi anni è impegnato nel progetto “Mare gratis. Il mare come bene comune” a cui è dedicato anche un blog.
Geminiani, artista e illustratore, si è occupato di editoria, di comunicazione e si è concentrato di recente su progetti legati alla sostenibilità ambientale come il San Marino Montefeltro green festival di cui è il patròn e ideatore e nel cui contesto è nata la collaborazione con Fiori.
Geminiani si è da tempo trasformato in custode di una particolare disciplina, quella del raccoglitore: cercare, accumulare, rubricare oggetti e frammenti di cose smarrite nel tempo e nello spazio è un impegno che egli svolge con perizia tassonomica. E virtuosamente sa trasformare le cose ritrovate in estratti poetici riuscendo a imprimere a questi suoi curiosi materiali, restituiti dalle maree o ritrovati lungo le sponde dei fiumi, una valenza metaforica, attribuendo a essi una rigenerazione e una nuova estensione di vita.
Ciò avviene distillandone le forme, alterandone la forza comunicativa attraverso linguaggi visivo-poetici, padroneggiati con disinvoltura. Così, nel salvare oggetti orfani, dimenticati, obliati, sfuggiti alle maglie consumistiche della nostra contemporaneità, è riuscito a costruire un racconto immaginando che Cola Pesce e la Burdela Turchina incontrino altri paesaggi sottomarini e altre creature.
Dei relitti (poco ecologici) ritrovati in mare ha distillato le forme, piegandole alla forza comunicativa del testo, abbracciandolo come una lingua visiva parallela. Le figure che emergono sulla carta si trasformano in nuove icone, precisate negli accostamenti, negli sfondi, nei rapporti creati con le ambientazioni del racconto di mare.
Nel frattempo all’orecchio di Fabio Fiori sussurra la nostra lingua antica e misteriosa, il nostro dialetto romagnolo, lingua brusca ma efficace, lingua sottile e acuta che serve a nominare ad esempio i venti, Furieg e Calìg, ma anche e Sìon che affondava le barche. Espressioni ascoltate in qualche porto adriatico o raccolte da qualche marinaio di questa nostra sponda. Una lingua che accasa Cola Pesce in questo nostro mare e che incatena l’immaginazione trasferendo le vicende e le sue avventure in riva d’Adriatico.