Cocoricò e Rimini Beach Arena: stagione già finita. "Non apriremo"

Archivio

Il rebus discoteche resta ingarbugliato, alimentando ormai più disincanto che speranze. «L’estate è compromessa. Il Cocoricò non riaprirà e 500 persone rischiano di restare a casa». Non usa mezzi termini Enrico Galli, patron dell’Altromondo e della celebre discoteca della collina, nonché gestore della Rimini beach arena, mentre le luci sul mondo della notte restano ancora spente. «Ci vorrebbe un mese e mezzo di promozione, solo per far ripartire il Cocoricò, mai aperto al pubblico da gennaio, nonostante un notevole investimento (2 milioni e mezzo circa di euro, ndr). Senza contare che per installare l’Arena è davvero troppo tardi», puntualizza con amarezza. Ma se nella scacchiera delle ripartenze, le discoteche sembrano valere quanto un pedone, lo scacco matto a catena, secondo Galli, rischia di subirlo più di un comparto. Perché commenta: «Se non riapriranno i locali, in Riviera i grandi assenti saranno i giovani».

Giovani che dopo un anno del genere, passato in clausura e museruola, sottolinea, «non sceglieranno certo la meta delle vacanze per andar a dormire alle 20. È un assioma elementare – ribadisce - ma solo di recente qualcuno se ne sta accorgendo». E a far più male è una situazione in eterno standby, come la puntina di un vecchio giradischi bloccata su un vinile.

I 500 lasciati a casa

Così Galli fa un passo indietro con i ricordi. «Per l’estate 2020 non ho aperto e mi sono visto costretto, seppur a malincuore, a lasciare a casa 500 persone, ossia il personale legato direttamente e non alle mie attività. E di certo – aggiunge - qualcuno ha scelto di reinventarsi ex novo, cambiando lavoro, anche se è difficile stabilire adesso, in quale percentuale abbiano abbracciato questa scelta. Certo è che in generale la perdita per chi gestisce location è stata assoluta» chiarisce. E anche se il Governo e la Regione stanno confrontandosi e puntano i riflettori sulla questione anche in questi giorni, «il risultato resta incerto». Così il patròn del mitico Cocoricò ribadisce che, anche se «la salute pubblica viene prima di tutto, è tosta rimanere tra le ultime categorie ai nastri di partenza». Quel che è peggio nella tortuosa mappa della quasi-normalità «è che a noi manca ancora una data». Elemento che non costituisce un dettaglio qualsiasi, visto che «un lavoro come il nostro prevede programmazioni a lungo termine, da fissare anche 8-9 mesi prima dell’evento, specie a livello artistico». E confessa che «vivere nell’incertezza e sapere le cose all’ultimo è un’ulteriore batosta. Forse si potrà salvare il salvabile, sì, ma l’estate di fatto è compromessa», taglia corto. Passando al fronte ristori, prosegue, ribadendo che «per il Cocoricò non sono previsti». Il motivo? «È presto detto. Ho acquisito il locale nel gennaio 2020 , per aprire a Pasqua. Ovviamente la pandemia ha fatto saltare l’inaugurazione, quindi il fatturato è pari a zero e la società risulta inattiva». Oltre al danno la beffa dunque, perché «la legge italiana dice che per lanciare la società devo finire i lavori di ristrutturazione, avere i permessi di agibilità e così via, ma intanto l’inattività esclude la società da tutto, compresi i ristori e i finanziamenti bancari. Per dirne una, non mi concedono l’accesso al Fondo di garanzia Covid». Quindi la fine del tunnel ancora non si vede. «Non esisto - conclude - ma mi sono rassegnato e conto sulle mie forze». Chi fa da sé fa per tre, insomma. Ma la musica, nell’anno e mezzo segnato dal virus, resta sempre congelata dietro un sipario chiuso.

Si allungano le giornate e si accorcia il coprifuoco, ma le danze non accennano a riaprire. «A mettere in ginocchio le disco è stato chi non ha fatto il suo dovere. Eppure bastava una campagna vaccinale massiva». Alla domanda della celebre canzone dei Pooh ‘Chi fermerà la musica?’ sembra avere trovato una risposta, al netto delle polemiche, Tito Pinton, il noto imprenditore veneto che l’estate scorsa ha rilevato il Musica, ossia l’ex Prince e che a maggio ha concluso l’accordo per la gestione dello stabilimento 44 della Perla verde, ribattezzato ‘La spiaggia’. «Devo incanalare le attività su altri versanti, per tutelare almeno una parte dei dipendenti», spiega. Aggiungendo che, sebbene abbia messo a segno nel 2020 «18 serate con un incasso di più di 2 milioni di euro, non esiste guadagno a fronte di perdite difficili da quantificare, perché la pandemia ha bloccato una macchina organizzativa in piena corsa». Intanto neanche il 2021 pare nato sotto una buona stella. «Il danno è già notevole – riconosce - perché è sfumato il periodo pasquale in cui si lanciavano i primi appuntamenti per l’estate». Senza dimenticare le perdite anche in termini di risorse professionali, come i due direttori, su cui aveva fatto peraltro «un investimento personale anche in termini di formazione». Ora si potrà forse salvare il salvabile, tra Green pass e ingressi contingentati, ma «solo se si ripartirà entro il 10 luglio». Fermo restando che l’imperativo per lui «sarà riaprire i battenti comunque, per onorare gli impegni». E con l’occasione si leva qualche sassolino dalle scarpe, perché per evitare il baratro, «bastava una campagna vaccinale serrata come quella di Treviso del 2007 contro la meningite o quella del Titano» (dove organizzerà l’evento del 19 giugno, ndr)». Quindi i danni subiti sono, a suo parere, da imputare «a chi non ha fatto il proprio lavoro». Dal canto suo aveva proposto già il 25 settembre il tampone prima di scatenarsi in pista, «ma purtroppo siamo ancora al palo».

Newsletter

Iscriviti e ricevi le notizie del giorno prima di chiunque altro Clicca qui