Coach riminese bloccata in ospedale a Taiwan per Covid

Parafrasando un celebre film con Alberto Sordi, possiamo parlare di “una riminese a Taiwan”. Che detta così potrebbe sembrare una cosa normale, anche se il paese astiatico a 180 chilometri dalla Cina non è proprio la meta ideale in questo periodo. La storia è quella di Simona Conti, riminese doc appunto, apprezzato tecnico nel baseball nazionale, coach dei Falcons Torre Pedrera e in questo caso membro dello staff tecnico della nazionale italiana Under 12 che sta disputando i campionati del Mondo proprio a Taiwan.

Partiamo dall’inizio, cioè dal viaggio Roma-Istanbul e fin qui nulla di strano, poi che succede in Turchia?

«Succede che prendiamo il volo verso Taipei - racconta Simona - e sull’aereo ho cominciato a sentire i primi sintomi, peraltro lievi, un po’ di tosse e mal di gola, ma poca cosa. Arriviamo in aeroporto a Taipei e ai passeggeri normali viene fatto subito un tampone. A noi invece ci hanno prelevato con il pullman perché ci aspettava un viaggio di tre ore verso Tainan dove si svolgono i Mondiali».

E qui il timore del Covid è cresciuto.

«Eh sì, perché in pullman ho cominciato ad avvertire brividi e mal di ossa, quando siamo arrivati in albergo stavo già benissimo, ma il tampone molecolare era positivo».

A quel punto le cose sono un po’ precipitate perché tutta l’organizzazione ha cominciato a lasciare a desiderare. «Avevo partecipato alla riunione tecnica del mondiale, il protocollo stabiliva che i positivi sarebbero stati isolati in una stanza dell’albergo. Quindi ero abbastanza tranquilla: per precauzione mi ero fatta una tampone rapido che era risultato positivo, sinceramente ero dispiaciuta per la cosa ma tranquilla perché stavo bene e potevo stare in albergo. Invece attorno a mezzanotte è tornato il dirigente federale che mi ha comunicato che sarei stata trasferita in ospedale pur non avendo più sintomi e lì ho fatto un po’ di casino».

Il trasferimento albergo-ospedale è da film. «Eravamo in tre, io la fisioterapista della nazionale e un giocatore della nazionale, tutti positivi ma senza sintomi, invece l’ambulanza è partita a razzo, con le sirene spiegate, venti minuti senza soste come se a bordo ci fossero malati gravissimi. L’unica consolazione è che per strada ho riconosciuto il campo da baseball dove avevamo giocato tre anni fa».

Il primo impatto in ospedale?

«Nessuno sapeva come fossero le procedure, all’inizio al pronto soccorso nessuno parlava inglese, solo cinese quindi ci spiegavamo a gesti, poi abbiamo fatto esami del sangue (che li raccomando), elettrocardiogramma, esame delle urine, raggi ai polmoni. Qua a Taiwan sono estremisti, su alcune cose sono da terzo mondo, per altre cose molto tecnologici».

Come si mangia?

«Beh, visto che siamo in ospedale neanche male, purtroppo si mangia sempre uguale: riso con la carne, pollo, tacchino, verdure, le loro zuppette e i brodini. L’ho chiamato “programma pancia piatta” visto che perdiamo un chilo al giorno. Il problema è la pulizia, non è proprio il loro forte, anzi diciamo che non ne hanno un’idea. Puliscono (poco) senza un criterio stabilito».

Simona è dentro da sei giorni, ma per un attimo ha sperato di uscire subito. «Un’esperienza provante, anche se per fortuna sto bene. Ma sinceramente mi ero illusa che potesse durare un solo giorno. Perché al momento del tampone, qua considerano il valore “pca” che da noi in Italia non si guarda per niente ed è un indice di contagiosità: se superi il 30 sei libero di uscire, io avevo 28 il primo giorno. Poi la doccia fredda, perché al secondo molecolare era sceso a 10-11».

La situazione nel reparto?

«Le cose sono migliorare col passare dei giorni, ci hanno messo a disposizione infermiere gentili e disponibili che parlano inglese, entrano col computer e per quello che non comprendono usano google translate».

Il resto della truppa?

«Gli altri allenatori e la squadra sono in isolamento in albergo e purtroppo abbiamo perso a tavolino la prima partita. La cosa positiva è che i positivi stanno in quarantena al massimo sette giorni, quindi ormai ci siamo».

Simona chiude con due aneddoti. «Visto che non ci siamo fatti mancare niente, una mattina ci siamo svegliati col terremoto, scala 4,8, abbiamo provato a uscire dalla stanza ma loro le chiudono da fuori, pazzesco. Un altro giorno i nostri telefonini sembravano impazziti, ci è comparso un messaggio in cinese poi uno in inglese “allarme presidenziale”. Siamo stati nel panico per un po’ di tempo, abbiamo pensato di tutto, poi ne è arrivato un altro “allarme presidenziale, esercitazione conclusa”. Che il nostro mondiale inizi presto, giochiamo perché è quello per cui siamo venuti qua e poi ce ne andiamo».

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