Clara Calamai, una mostra sulla grande attrice che scelse Rimini
C’erano una volta Vittorina, Paola (la più grande) e Clara. Le tre sorelle Calamai. E c’era e c’è la diva Clara Calamai. Bisogna cominciare così per raccontare di come e perché il destino di una delle grandi attrici del cinema italiano tra gli anni Trenta e Quaranta – nata a Prato il 7 settembre 1915, morta a Rimini il 21 settembre 1998 – si intreccia con la città che tra le stelle del firmamento del cinema vanta già il nome di Federico Fellini.
L’occasione per scoprirne i particolari la offre la mostra Zia Clara, curata dall’architetto riminese Marino Bonizzato, nipote della grande attrice, inaugurata la settimana scorsa alla Galleria dell’Immagine (via Gambalunga, fino al 28 settembre, lunedì-venerdì ore 10-13 e 16-18; sabato 9-12).
Gli anni riminesi
Ritiratasi ormai da anni dalle scene, riservata e sola nella sua abitazione romana non lontana dalla zona stazione Termini, Clara Calamai venne a vivere gli ultimi suoi anni a Rimini, nella città della sorella Vittorina che qui aveva messo sin da giovane su famiglia sposando un ingegnere trasferito a Rimini da Bologna dalla compagnia per cui lavorava. Entrambi erano stati “rapiti” da un colpo di fulmine.Lo sparo al cuore
Da quel matrimonio sono nati Marino e Giuliano Bonizzato, nipoti dunque dell’attrice, della quale conservano ricordi che ora hanno voluto condividere con la città. In una mostra che svela il carattere anche malinconico dell’attrice la cui carriera iniziò per caso e dopo un tentato suicidio per pene d’amore (si sparò al cuore ma come è evidente sopravvisse). Una carriera che sembrò restare “imprigionata” nello scandalo del primo (presunto) nudo del cinema ( La cena delle beffe di Blasetti, 1942), con quella scena di pochi fotogrammi che nasce dalla richiesta del regista di lasciarsi strappare la camicia mentre è stesa nel letto e lei che per l’intera vita è chiamata a rievocare, spiegare, giustificare.L’incontro con Visconti
Con l’interpretazione di Giovanna, la coprotagonista del primo film di Luchino Visconti Ossessione (1943), censurato dal regime fascista ma acclamato dalla critica come atto di nascita del Neorealismo italiano, arriva per Clara Calamai il ruolo che la fa entrare di diritto nella storia del cinema, per così dire dalla porta principale.Al fianco di uno dei due belli del cinema italiano dell’epoca, Massimo Girotti (l’altro fu Amedeo Nazzari), è una Calamai dallo sguardo ferino e dalla fisicità selvatica quella che appare sin dai primi momenti del film girato nella Bassa ferrarese.
Memorabile resta la scena dell’incontro con il vagabondo (un affronto per il cinema dell’epoca) Gino, nella cucina della trattoria che la donna gestisce con il sopportato marito. Quella che Calamai trasmette agli spettatori è l’immagine di «un’Italia diversa da quella immaginata e propagandata dal fascismo» (ad esempio nei film cosiddetti “dei telefoni bianchi”), come ebbe a rilevare la giornalista e critica Lietta Tornabuoni in occasione della mostra che la città natale dell’attrice le dedicò nel 1996.