Ciclismo, quando Pantani si prese il Tour de France

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Il 27 luglio 1998 Zdenek Zeman lancia il suo guanto di sfida al calcio italiano con dichiarazioni inequivocabili contro il doping: «In Italia il calcio deve uscire dalle farmacie». Ce n’è abbastanza per un terremoto da riempire pagine di giornali, ma non le prime pagine. Le prime pagine sono occupate da un altro sport che deve risolvere il problema del doping, un ciclismo esaltato dall’impresa-simbolo di Marco Pantani al Tour de France 1998.


Anche al Tour


Dopo avere vinto il Giro d’Italia, originariamente il Tour non è nei programmi del Pirata di Cesenatico, poi all’inizio dell’estate Pantani è colpito dalla morte del suo mentore Luciano Pezzi e dentro di sé inizia a covare la voglia di fargli un regalo. Così al ristorante Ponte Giorgi di Cella di Mercato Saraceno, prima della festa del Panathlon Club Cesena (di cui Pantani è socio), si vede il giornalista Rai Giorgio Martino prendere il telefono del ristorante e chiedere trafelato la linea al Tg2: «Mandatemi subito in onda, Pantani ha appena detto che farà il Tour de France».


La Grenoble-Les Deux Alpes


Quel Tour del 1998 sembra avere un vincitore designato, ovvero il tedesco Jan Ullrich, una specie di locomotiva che lavora per un anno in funzione di una sola corsa a tappe, quella più importante.
Il 27 luglio 1998 si corre la Grenoble-Les Deux Alpes: Pantani aveva già vinto cinque giorni prima l’11ª tappa da Luchon a Plateau de Beile, ma la classifica generale sembrava già blindata, con Ullrich con 3 minuti di vantaggio sul Pirata. Un Pantani che da qualche giorno nelle sue dichiarazioni alla stampa parla di Tour già chiuso in anticipo, di Ullrich padrone della corsa e così via. Poi però capita che, alla partenza del 27 luglio, sibila in romagnolo al compagno di squadra Fabiano Fontanelli: «Fabiano, sta que che as divertèm». Fabiano, stai qui che ci divertiamo. Si divertiranno.
Piove e fa freddo, le condizioni che Pantani non ama, ma se vuole cercare il colpo grosso, deve provare qualcosa di speciale. Così scatta a 4 chilometri dalla vetta del Galibier, quando manca ancora una cinquantina di chilometri al traguardo. Uno strappone dei suoi e Ullrich come sempre non reagisce per non cucinarsi. Pantani lo osserva un paio di volte per saggiarne la reazione, poi saluta e se ne va. Leblanc ed Escartin non reggono il suo passo, mentre la bandana del Pirata svolazza per un vento vigliacco che rende la pioggia ancora più infida. Gocce a iosa sulle telecamere della Rai, sulle nostre televisioni che vorremmo abbracciare per stargli ancora più vicino. «Erano anni che non vedevamo un’azione come questa», dice un Adriano De Zan sinceramente emozionato. Valicato il Galibier, mancano ancora 42 chilometri alla fine: inizia una discesa pericolosa sotto la pioggia e il fido Orlando Maini gli passa un impermeabile che Pantani cerca di mettersi in discesa, sotto la pioggia, mentre pedala a tutta. Roba da matti.
«Oh, no, è caduto», sospira la seconda voce Rai Davide Cassani quando la telecamera lo perde e non lo inquadra più. Invece Pantani ha solo accostato prudentemente per mettersi da fermo quel maledetto impermeabile che non si infilava. Saggia prudenza, una volta tanto.


Passo insostenibile


Arriva l’ultima salita de Les Deux Alpes e Pantani ha già 4 minuti su Ullrich. Al comando ci sono Pantani, Rimero, Massi ed Escartin: alle loro spalle, ogni tanto la tv inquadra un Ullrich piantato come un olmo innaffiato dalla pioggia. Pantani scatta ancora e saluta la compagnia: c’è la tappa a cronometro del sabato che spaventa, deve scavare un solco importante. Cassani al microfono quasi non trova le parole, poi le trova e dice: «Ha avuto il coraggio di andare al Tour e ora guardate che spettacolo. Erano anni che non vedevamo numeri del genere».
De Zan all’arrivo del Pirata al traguardo si commuove: «Questa 15ª tappa ci rimarrà nel cuore, da oggi possiamo dire che Marco Pantani è un fuoriclasse: se parti a 50 km dal traguardo in una tappa come questa, devi avere nervi saldi, cervello fresco e grandi gambe».
Partito con un vantaggio di 3 minuti, sull’ultima salita Ullrich naufraga e chiude a quasi 9 minuti da Pantani, che fa sua la maglia gialla portandola fino a Parigi.
Una commissione di inchiesta del Senato francese, nel luglio del 2013, comunicherà poi i risultati delle analisi effettuate a distanza di sei anni sui campioni di diversi partecipanti a quella Grande Boucle. Pantani, Ullrich, Zabel, Tafi, Olano, Beltran, Cipollini, Jalabert, Hamburger, Sacchi, Mazzoleni, Minali, Serrano, Heppner, Blijlevens, Durand, Desbiens, Livingston: tutti positivi all’eritropoietina. Era il ciclismo dell’epoca, senza santi e a turno con qualche eroe.
Il ciclismo della fine del ventesimo secolo non riusciva ad uscire dalle farmacie, con Pantani che dal 1999 in poi diventò il bersaglio grosso, il bersaglio unico, il bersaglio facile. Poi resta la magia di quello che ha fatto sui pedali, da vero Pirata, e quando guardi i suoi occhi su Youtube, sul palco o durante le interviste, viene in mente la scritta della locandina di “Tutti giù per terra”, un vecchio film tratto da un romanzo di Giuseppe Culicchia: “È difficile essere buoni in un mondo dove sono tutti cattivi”.

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