Ciclismo, Pacioni e Malucelli svelano i segreti di Bernal

Chi vince il Giro d’Italia non può che essere l’uomo copertina del momento, almeno fino alla partenza del Tour tra poco meno di un mese. Egan Bernal ha festeggiato domenica a Milano una maglia rosa meritata: ha attaccato nella parte centrale della corsa per poi gestire e controllare senza reali difficoltà gli attacchi di Caruso e Yates. La carriera tra i prof del 24 colombiano, ormai è noto, è partita dall’Androni-Sidermec, scoperto da Gianni Savio e poi diventato un beniamino del patron Buda. In quella squadra che vide Bernal muovere i primi passi nel ciclismo vero, c’erano due romagnoli, Luca Pacioni che ha vissuto con lui entrambi gli anni in biancorosso (2016 e 2017) e Matteo Malucelli che ci ha corso nella seconda stagione. «Sono stato il suo primo compagno di stanza qua in Italia – racconta Pacioni – e mi ha subito fatto un’ottima impressione come persona. Diciamo che invece non mi ha proprio colpito come ciclista, cioè confrontare il Bernal attuale con quello di allora, beh, diciamo due Bernal completamente differenti».

Il motivo è presto spiegato. «Egan arrivava dalla mountain bike (argento nel 2014 e bronzo nel 2015 ai Mondiali Juniores, ndr) su strada non aveva mai corso, lo portò in Italia Gianni Savio. Ma aveva problemi fisici, soprattutto alla schiena, in bici era tutto storto, sgraziato e infatti le prime due settimane di ritiro l’abbiamo visto poche volte in sella».

Un po’ come la storia del brutto anatroccolo che diventa cigno. «Diciamo di sì, quando gli ho visto vincere il Tour de France sono stato veramente contento: si merita queste vittorie prestigiose, è un ragazzo serio, uno che lavora duro». Non è mai facile pronosticare che un ciclista a soli 24 anni sia capace di vincere prima il Tour e poi il Giro, ma per Pacioni non è una sorpresa. «Il talento ce l’aveva, così come aveva dimostrato da subito di avere valori importanti, ma tutto questo non basta per vincere le grandi corse a tappe. Quando si comincia la carriera da professionista, servono almeno un paio d’anni per stare bene in in gruppo, ci metti del tempo per capire come funziona, la tattica, il modo di correre e di affrontare le difficoltà quotidiane. A lui invece sono bastati pochi mesi, ricordo quell’anno come andava forte alla Coppi e Bartali».

A proposito di Coppi e Bartali, anche Malucelli racconta un aneddoto su Bernal. «Era durante la tappa di Sogliano, in discesa cadde rovinosamente, ma si rialzò in fretta, si vedeva che era abituato alle botte…».

Un anno assieme al colombiano è bastato al forlivese per capire che c’era della stoffa. «Fra ritiri e qualche gara sono stato assieme a Egan per guardare come andava forte, oltre a conoscere un ragazzo serio, pacato, mai sopra le righe. La prima corsa con lui l’ho fatta a San Juan in Argentina nel 2017 e vinse la classifica del miglior giovane. Aveva motore come si dice in gergo, faceva numeri importanti anche se non aveva vinto niente. Sia Savio che i direttori sportivi dicevano che Bernal sarebbe diventato un campione: un conto è dirlo, un altro è farlo, ci ha messo poco per dimostrarlo».

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