Ciclismo Giro d'Italia. Vandi: "Santarcangelo? Mi ha dimenticato"

Alfio Vandi da Santarcangelo, classe 1955, professionista dal 1976 al 1988, per molti anni il miglior ciclista romagnolo. Già, da Santarcangelo, dove oggi parte l’11 tappa del Giro d’Italia.

Allora, Alfio ci sarà oggi al via?

«Beh, intanto mi fa piacere che qualcuno abbia pensato a me in questa occasione, intervistandomi. Sinceramente mi aspettavo che il comune mi invitasse, d’altronde sono stato l’unico ciclista professionista qui di Santarcangelo. Così come mi sarebbe piaciuto che la tappa fosse partita da Santarcangelo quando correvo io. E’ stato un po’ come far arrivare una corsa sul Carpegna quando ormai Pantani non c’era più».

Lo sta guardando il Giro?

«Sì, certo, non c’è ancora un padrone, intanto abbiamo capito chi non lo può vincere. Credo che per la maglia rosa sia una corsa a quattro: Carapaz, Bardet, Landa e Almeida, uno che non è affatto facile staccare in salita».

Italiani e romagnoli dove siete?

«Eh sì, non siamo messi bene a livello di corse a tappe. Purtroppo i migliori italiani hanno 80 anni in due (Pozzovivo e Nibali, ndr), per il momento non c’è ricambio, speravamo in Ciccone ma siamo rimasti delusi. E mi spiace che sia un Giro senza romagnoli. Baroncini? Forse il suo team ha deciso di preservarlo quest’anno, potrà puntare a qualche vittoria di tappa, ma in un Giro si deve andare avanti per gradi e prima di puntare al bersaglio grosso, si deve arrivare quarti, quinti, magari al podio».

Tre volte settimo, una 11°, una 12° e il picco del quarto posto nel 1977: contento di essere arrivato dietro Pollentier, Moser e Baronchelli o rammaricato?

«Lì per lì contento, il podio era lontano quasi 4 minuti. Poi però Pollentier, il vincitore, fu trovato positivo al Tour del ‘78, con un espediente che forse usava anche prima. Quindi più che quarto mi sento terzo e mezzo. Mi rimane la maglia Bianca del Giro 1976, una soddisfazione doppia perché proprio in quell’edizione fu introdotta la classifica relativa al miglior giovane».

E’ cambiato totalmente il modo di prepararsi a una corsa come il Giro d’Italia?

«Sì e no. Il leader di una squadra viene sempre preservato fino all’inizio del Giro, sfruttando altre punte per le gare di inizio stagione, soprattutto le classiche di primavera. Per me la differenza è che ora per vincere devi essere al 101% della forma, già il 98% non basta più».

Veloce amarcord: il suo ricordo indelebile del Giro?

«Era il 1986, si arrivava sul Terminillo, andai in fuga per 70 chilometri, mi ripresero quando ne mancavano solo 5 e arrivai secondo dietro il portoghese Da Silva. Poteva essere il coronamento della carriera, ho vinto dieci gare, ho indossato una volta la maglia azzurra, ma mi è mancata una tappa al Giro».

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