"Ciao amore ciao" omaggio a Tenco al Petrella di Longiano

La storia di Luigi Tenco torna sulla ribalta non delle cronache, ma del palcoscenico. Si deve a Filippo Paolasini (1986) cofondatore nel 2016 della compagnia marchigiana Asini Bardasci (equivalenti ai burdel romagnoli), che stasera alle 21 porta in scena Ciao amore ciao al Petrella di Longiano. Sul palco, con l’attore che dà corpo e voce al famoso cantautore, agisce l’attrice Lucia Bianchi interprete delle donne attorno a Tenco: Dalida, cantante e grande amore, la madre, l’intervistatrice. E poi c’è la musica suonata dal vivo da Alessandro Centolanza, Andrea Jimmy Catagnoli, Gianluca Padalino, «per me non esiste il teatro se non c’è la musica» dichiara Paolasini. Il tutto per rievocare i perché della tragedia che la sera del 27 gennaio 1967 fece precipitare il glamour del Festival di Sanremo in una macabra atmosfera; Tenco, dopo aver cantato in gara Ciao amore ciao fu trovato morto per un colpo di pistola. Pure dichiarata suicidio, quella morte ancora oggi è adombrata da un alone di mistero, dubbi mai chiariti, indagini non approfondite. Appassionato di misteri, Paolasini si è sentito coinvolto nella drammatica storia che ha investigato durante fasi di vita personali travagliate e perciò àncora di salvezza e di rilancio professionale. Proprio giovedì Asini Bardasci ha vinto il bando NdN (Network drammaturgia nuova) per produrre la mise en éspace del testo di Fabio Marson.
Da un giovane teatrante non ci si aspetterebbe una ricerca su Tenco, da dove nasce Filippo tale passione?
«Sentivo cantare le sue canzoni da mio padre. Per anni sono stato ospite di un’amica a Sanremo che mi mostrava foto di una zia amica di Claudio Villa. Un giorno mi capitò fra le mani il libro Luigi Tenco di Renzo Parodi che raccontava di un cantante nato ad Alessandria e non a Genova come pensavo, il cui padre era morto prima che lui nascesse. Parlava di un diverso titolo di canzone rispetto a Ciao amore ciao la cui melodia appartiene pure a una canzone che racconta di partigiani. Lettura che mi destò stupore e interrogativi. Avevo fatto uno spettacolo sul chitarrista Django Reinhardt in stile radiodramma, e pensai a un recital analogo su Tenco, lacrime e colpo di pistola».Poi cosa è successo?
«Poi è arrivato il Covid, uno spartiacque per me; avevo da poco terminato la relazione con la cofondatrice di Asini Bardasci (Paola Ricci), il teatro di Montemarciano non volle più sapere della mia direzione artistica, dopo 18 anni in giro per l’Italia mi ritrovai chiuso in una stanza di casa con mia madre e mia sorella; alla vigilia del debutto lo spettacolo su Tenco chiuse insieme ai teatri. In un lampo ero disarmato. Che fare? Ripresi in mano Tenco e cominciai a studiarlo come non avevo fatto prima, lessi pure Vita di Luigi Tenco di Aldo Colonna che sosteneva che il cantante era stato ucciso».Dove l’ha portata questo ribaltamento?
«Mi sono affascinato all’idea che una caduta può portare a una rinascita e ho ricominciato. Mi rendevo conto che, nell’avvicinarmi a quel suo dolore, che per me significava smettere di fare teatro, mi attaccavo alla storia di Tenco cercando di comprendere la sua verità. Ho scoperto che Vedrai vedrai è dedicata alla madre e non alla fidanzata, che aveva scoperto che il Festival della canzone italiana era un arraffare di soldi, scommesse, accordi fra etichette, che sentiva di non c’entrare nulla con quel mondo. E in quella triste sera cantò Ciao amore ciao in modo stentato. Mi sono pure interfacciato con la famiglia, delusa perché in sei mesi il caso venne chiuso. E ho messo mano al pianoforte per suonare e cantare Un giorno dopo l’altro che fu sigla dello sceneggiato Rai del Commissario Maigret».In che modo ha trasposto i sentimenti sul palcoscenico?
«Ho ricreato una sorta di set cinematografico evocativo con fari, palla a specchi all’ingresso di Dalida, musicisti che suonano dal vivo. Lo spettacolo è una sorta di varietà contenitore dove un presentatore che incarno fa entrare il pubblico nei passaggi complicati della storia di Luigi, che pure è presente. Cerco di fare emergere Tenco nella sua poesia, nell’umanità, nel controsenso di quella morte veloce e, allo stesso tempo, la mia storia e volontà di portarlo in scena. Questo spettacolo è una coccola per me».E qual è il senso finale?
«Sta nel fatto che, grazie a persone come Tenco, ma anche mio padre che lo cantava, che tramandano una storia, una passione, un’arte, noi oggi possiamo pensare di migliorare la storia di coloro che ci hanno preceduto. Per questo chiudo con un fiore; il fiore di Sanremo che ha pure decretato la fine di Tenco, e il fiore che porto sulla tomba di Tenco e di mio padre a ricordo di una canzone come momento di passione».Info: 0547 666008