Cesenate bloccata nell'inferno covid di Shanghai

Archivio

«Noi siamo tra i fortunati: a parte i primi giorni siamo riusciti sempre ad acquistare cibo e acqua, e soprattutto siamo giovani e in salute: l’eventualità di finire in uno dei campi Covid ci spaventa, ma noi non abbiamo paura di morire. Non è così per chi ad esempio soffre di asma o ha malattie croniche e ha bisogno di costante accesso alle cure».

Sofia Canali, originaria di Piavola di Mercato Saraceno, è una dei tanti stranieri che vivono a Shanghai alle prese in questi giorni con le conseguenze della politica “zero covid” della Cina, fatta di lockdown a tempo indeterminato e in caso di positività di deportazioni in centri covid dove non è prevista alcuna assistenza sanitaria. Canali ha 31 anni e quando Shanghai è tornata in lockdown si stava preparando a lasciare la città dove ha vissuto e lavorato negli ultimi sei anni per tornare in Italia. Programmi ora sospesi.

Le regole di questi lockdown sono vaghe e questo consente all’autorità di turno di cambiarne spesso l’interpretazione: «Ci sono tantissimi livelli: c’è il governo centrale di Pechino, poi la provincia, la città, i distretti e i sottodistretti fino ad arrivare ai community, che equivalgono all’incirca a complessi residenziali. Il nostro è piccolo perché ci sono solo due palazzi, ma ce ne sono composti anche da una decina di condomini». Ogni community ha un management che può decidere a sua volta di applicare regole più restrittive e ha, ad esempio, potere di veto sulla riammissione o meno di chi è uscito da un centro covid: «Non è detto che una volta liberato tu possa rientrare a casa tua. I residenti hanno paura, perché basta un contatto di positivo nel tuo community perché l’intero complesso rimanga bloccato per altri 14 giorni».

«L’annuncio del lockdown è arrivato di notte, nessuno ha potuto fare scorta e il risultato è che cibo e acqua hanno presto cominciato a scarseggiare. I primi giorni sono stati duri: abbiamo dovuto cominciare a razionarci il cibo perché non sapevamo quando saremmo riusciti a procurarcene altro, la notte non dormivo per l’ansia. Poi si è aperta la possibilità di fare degli acquisti di gruppo. Sono acquisti che si fanno come community, i prezzi sono alti e ci sono quantitativi minimi da rispettare, ma soprattutto occorre trovare l’accordo con tutti i residenti, stabilire insieme le priorità. Gestire queste chat è un lavoro che occupa intere giornate».

Questi ordini devono poi essere approvati dal management del proprio community: «Una delle cose più difficili da acquistare è l’acqua: siccome pesa, per i manager che te la dovrebbero portare alla porta non è una priorità e non te la fanno acquistare, ti dicono di bollire quella del rubinetto ma a Shanghai è fortemente contaminata. Noi siamo riusciti ad ordinarla, una ragazza che conosco e che ha una bimba di un anno si è ordinata da sola 200 litri di acqua perché nel suo palazzo nessun altro la voleva ordinare».

Fare gli ordini è complesso, riceverli non è scontato: «Ci sono zone di Shanghai dove non consegnano nulla da 4 settimane e la gente ha fame». La fame è forse il principale motore delle proteste di questi giorni: «Non ci era mai capitato di vedere i cinesi criticare così apertamente il governo. Mai avevamo percepito tanta tensione a livello sociale. Io e il mio compagno avevamo già deciso di lasciare la Cina, dopo gli ultimi due anni sono tanti gli stranieri che se ne stanno andando, ma questa esperienza sta convincendo anche gli indecisi. È una situazione in cui ti senti impotente di fronte a regole che non hanno senso e uno stato di cui non puoi fidarti e che dimostra ogni giorno di non avere alcun interesse per il rispetto delle più basilari necessità umane dei suoi cittadini».


Newsletter

Iscriviti e ricevi le notizie del giorno prima di chiunque altro Clicca qui