A Cesena, trenta parti in casa all'anno: ora sono più sicuri

I parti in casa, come quello avvenuto due giorni fa in una casa isolata a Borghi, che ha richiesto anche l’intervento dell’eliambulanza per trasportare all’ospedale di Rimini la mamma e il neonato, continuano a essere percepiti come avvenimenti straordinari. Invece non sono poi così rari e, dopo le linee guida in proposito emanate dalla Regione alla fine del 2020, non sono neppure più un retaggio del passato, ma una possibilità accompagnata da un protocollo con regole puntuali per ridurre al minimo i rischi. A fare il punto è Patrizio Antonazzo, direttore dell’Unità operativa di Ostetricia e Ginecologia dell’ospedale Bufalini, che fa sapere che nel Cesenate sono una trentina all’anno i piccoli che vengono al mondo tra le mura domestiche, invece che in ospedale.
I parti imprevisti
Il professionista premette innanzitutto che bisogna distinguere tra chi programma questa scelta e chi ci deve invece fare i conti in modo inaspettato. Del secondo gruppo di donne - spiega - fa parte soprattutto chi ha già avuto figli, perché generalmente, dopo avere partorito, il travaglio è accelerato. Anzi - aggiunge - «a volte la percezione del dolore è così bassa che la donna pensa che non sia ancora giunto il momento». A ogni modo, in questi casi, «è sempre necessario fare il punto in ospedale». Se non altro per «tagliare lì il cordone ombelicale e assistere adeguatamente la donna che ha appena partorito nell’operazione di espulsione della placenta, così da cautelarsi dal pericolo di emorragie».Le decisioni consapevoli
Diverso è il discorso per quel che riguarda il parto extraospedaliero consapevolmente deciso dalle partorienti con ampio anticipo. In questo caso ad assistere la partoriente a casa sua ci sono due ostetriche, che nel Cesenate sono libere professioniste, che vengono scelte dalla donna incinta ma devono presentare stringenti requisiti per garantire che siano in grado di svolgere al meglio il loro lavoro. Questa opzione è ora regolamentata da linee d’indirizzo regionali e quindi, anche se è sempre esistita, può essere scelta «in modo più strutturato, con le dovute informazioni sui pro e i contro». Dall’inizio di quest’anno - spiega ancora il direttore di Ostretricia e Ginecologia - al Punto nascita del Bufalini si è infatti definito quali donne possono fare richiesta di partorire a domicilio, sia dal punto di vista clinico che sotto il profilo logistico. Per quel che riguarda il primo aspetto, si deve avere a che fare con una «gravidanza a basso rischio», una valutazione fatta «sulla base della storia ostetrica della partoriente e del decorso della gravidanza». Poi c’è la questione logistica, che è altrettanto determinante: «La donna che vuole partorire a casa deve abitare a non più di 30 minuti dal luogo dove è attiva la Terapia intensiva neonatale», ossia in Romagna dal Bufalini e dai due principali ospedali di Rimini e Ravenna. Questo perché, «come in tutti i parti, possono sempre comparire condizioni che richiedono un trasferimento urgente in ospedale». La richiesta di parto all’esterno dell’ospedale «va fatta entro 32 settimane al consultorio familiare», in modo da organizzare tutto a puntino per tempo. E «quando inizia il travaglio, l’ostetrica che segue la donna deve avvisare l’ospedale».