Cesena, svelato da oggi diario inedito sulla Liberazione in città

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«Lavoro in un rifugio che dalla mia cantina dovrà arrivare a una chiavica. Si ode sempre il bombardamento. Passaggi di aerei. Alla sera dopo il Santo Rosario al rifugio vengo rastrellato dai Fascisti, condotto al Fascio, indi rilasciato». Sono le prime parole del diario che scrisse Massimo Severi, che allora era un ragazzo che stava vivendo, senza saperlo ancora, le settimane precedenti alla Liberazione di Cesena. Quelle frasi telegrafiche ma intense fanno riferimento alla giornata vissuta mercoledì 24 settembre 1940. A iniziare da questa mattina e fino al 26 ottobre prossimo, sul sito web ufficiale e sui canali social dell’Istituto per la Storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea della Provincia di Forlì-Cesena, verranno pubblicate, giorno per giorno, tutte le pagine inedite di quel manoscritto con cui Massimo Severi, scomparso il 7 dicembre scorso, raccontò la sua vita quotidiana e quella della città dove viveva, dal 17 luglio al 29 ottobre 1944.

Alberto Gagliardo, coordinatore di questo progetto di grande valore storico ma anche civile ed etico, spiega ce «Massimo Severi aveva allora 18 anni e lavorava come commesso nella Farmacia dell’Ospedale, che ancor oggi si trova sotto il portico del Palazzo Oir». Fa notare che fin dalle primissime frasi del suo diario «compaiono molti dei temi che torneranno ossessivi e martellanti in quei resoconti giornalieri: c’è l’alto degli aerei e di una morte che piove dal cielo, e il basso di una vita che tenta di proteggersi scavando rifugi sotterranri; c’è la rappresentazione di una esistenza che la violenza della guerra voluta dal regime fascista aveva ridotto alla sua nuda natura animale, oramai simile a quella dei topi che abitano le chiaviche; c’è la violenza di un regime poliziesco reso ancor più feroce nell’imminenza della disfatta. Ma Massimo non si rassegna a tutto ciò, e il suo modo di opporsi a questa regressione verso l’inumano si esprime non solo con l’affidarsi ai valori cristiani, per lui punti fermi, ma con un continuo muoversi per la città ferita, che lo porta a correre rischi e sperimentare anche su di sé la violenza illiberale del fascismo. Massimo, insomma, contrappone l’orizzontalità del suo agire operoso nel mondo degli uomini alla verticalità della sospensione tra vita e morte che in quei tempi era la condizione comune». Gagliardo osserva poi acutamente che il fatto che in quel momento la sua istruzione si fosse fermata alla licenza elementare «rende la sua prosa “ingenua”, perché la fa scabra ed essenziale e anche questa è una forma, ancorché involontaria, di resistenza e di opposizione alla retorica che per un ventennio aveva avvelenato la lingua e la cultura del Paese e le menti dei suoi figli, attraverso l’asservimento della scuola». La riflessione finale vola alta: la pubblicazione di quel diario nasce da «un’interrogazione sul passato, che muove sempre da domande e bisogni che nascono nel presente, e perciò quelle lontane parole del diciottenne cesenate richiamano tutti all’apprezzamento dei beni preziosi ma fragili della libertà, della pace, della solidarietà, della democrazia. Beni che vanno coltivati». gpc

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