Cesena, per gli immigrati il problema principale è la casa
- 21 luglio 2022

Per parlare effettivamente di integrazione e inclusione non basta avere i pur importantissimi documenti, servizi, scuole... Serve anche un posto in cui vivere dignitosamente. Se ne è parlato martedì sera al festival dell’Unità. In Emilia-Romagna sono cinquecentomila gli immigrati accolti, un numero che tenderà a crescere sia per i problemi climatici e di guerre nel mondo, sia per il difficile stile di vita nei loro paesi.
L’assessora comunale ai servizi sociali Carmelina Labruzzo ha detto: «Non basta arrivare a Cesena per parlare di integrazione, è necessario avere assistenza, documenti per identificarsi, una casa, servizi di lingua e corsi di istruzione. Fondamentale è anche condividere storie con la gente appena arrivata, solo così si possono abbassare i numerosi muri. Al Centro Stranieri quest'anno sono passati in cinquemila, il 25 per cento in più dello scorso anno» conclude l'assessora.
La parola poi è passata alle associazioni che hanno portato avanti appelli e richieste all'amministrazione. «Nel tema dell'immigrazione fondamentale è la giustizia sociale - racconta Luigi Caroli dell'associazione Libera - La criminalità organizzata nasce da società ingiuste e anche nei paesi da cui provengono queste persone esistono le mafie. Esse gestiscono migrazioni di persone, viaggi, alloggi, fanno circolare denaro sporco e agiscono con violenza e intimidazioni. I loro profitti sono circa 30 miliardi l'anno, Google ne guadagna dieci in meno». «In Italia il settore primario è un settore di inclusione e che dà tanto lavoro. Purtroppo però nell'agricoltura un sesto dei lavoratori sono irregolari e un altro sesto lavorano in nero e questo molti proprietari terrieri lo sanno. Le emigrazioni non cesseranno: il Sahara si espande di cinque chilometri all'anno e in Asia le alluvioni persistono. E troppi sono ancora i migranti uccisi dalle mafie» conclude Luigi Caroli.
Di seguito è intervenuto Giorgio Pollastri della sezione cesenate dell’associazione Papa Giovanni XXIII: «Sono 35 le persone che accogliamo, molti diventati regolari nel tempo dopo un percorso di educazione ben svolto. Mi chiedo come sia possibile che la gente scappi da territori dove ci sono le materie prime più richieste: petrolio, cobalto, seta, cacao... E un po’ mi viene da dire che è anche colpa nostra perché chiediamo troppo ai loro stati. Ci vogliono 5-6 anni per sapere se una persona può rimanere in Italia, troppo tempo che non permette una giusta inclusione. Sono molti i ragazzi che vivono in 4-5 in case piccolissime, con scarsa igiene. Noi non manderemmo mai i nostri figli a vivere in quelle condizioni. Se qualcuno ha case o anche qualche cameretta incontriamoci e parliamone perché è fondamentale per chi è qua già da tempo trovare un'adeguata fissa dimora».
«Ci vuole una ripresa dell’edilizia pubblica e sociale. Di immigrati ne abbiamo bisogno e se vivono insieme in dieci diventa un problema per noi e per loro» conclude un coordinatore del Centro Accoglienza.
Alla fine della serata alcune ragazze dei vari centri di accoglienza hanno sfilato con splendidi abiti dei loro territori nativi.