Cesena, la Misericordia a fine mese lascerà l'accoglienza migranti

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La Misericordia Valle Savio a fine mese concluderà il proprio impegno nella gestione delle sei strutture di accoglienza delle persone richiedenti protezione internazionale. Una decisione dolorosa frutto di un insieme di cause, che però descrive bene i limiti dell’attuale sistema di accoglienza. Quanto può resistere il sistema di accoglienza diffusa per come lo si è conosciuto fin qui nel cesenate? Questa la domanda angosciante che da qualche tempo si stava ponendo chi quel sistema, da ormai diversi anni, contribuisce a tenerlo in vita, la risposta nel caso di Misericordia è stata di resa: «Lo avevamo già comunicato alle Unioni dei Comuni Valle Savio e Rubicone Mare e l’altro giorno lo abbiamo formalizzato anche alla Prefettura», racconta Israel De Vito, presidente della Misericordia Valle Savio.

Non nasconde il suo dispiacere, non è stato facile arrivare a quella decisione: «Anche in Prefettura si sono detti dispiaciuti, ma l’impegno non era più sostenibile per noi». Le ragioni sono diverse: c’entra l’aumento esponenziale dei costi di gestione a fronte di un «quid», così De Vito chiama il compenso che lo Stato riconosce a chi fa accoglienza, che nel tempo è invece diminuito: «Noi abbiamo cominciato nel 2015 a 31 euro, poi saliti a 32,50 e scesi a 26,50 euro dopo i decreti Salvini». C’entrano fattori interni: «C’è anche un problema di stanchezza», spiega, dopo tanti anni di lavoro in condizioni via via più complesse. Per l’accoglienza, infatti, Misericordia si fa forza anche del lavoro volontario, che si affianca a quello dei dipendenti. De Vito stesso, che ricopre un ruolo di coordinamento e direzione, è volontario ma le condizioni di lavoro negli anni sono andate deteriorandosi e per di più i nuovi bandi di gara vanno in una direzione che esclude la possibilità di ricorrere ai volontari: «Ricorrere solo ai dipendenti per noi implicherebbe un aumento di costi che non riusciamo a sostenere». Su tutto questo, aggiunge De Vito, «pesa anche il clima di incertezza politica».

Quello attivo sul territorio cesenate, spiega, De Vito, «è un sistema d’accoglienza che si è creato con un certo “quid”, ora quelle tariffe sono diminuite, mentre tutto il resto è cresciuto: le utenze, i viveri, il carburante per i trasporti. Dovrebbero cambiare le regole d’ingaggio sulla parte economica». Il cambiamento qualche anno fa c’è stato, ma nella direzione opposta a quella auspicata da De Vito e dalle altre realtà pubbliche e del terzo settore che nel cesenate animavano un consolidato ed efficace sistema di accoglienza diffusa. Le nuove norme hanno ridotto ulteriormente i servizi compresi dei capitolati di gara, finendo col porre condizioni insostenibili. «Il profit non a caso si è già chiamato fuori da questo sistema di accoglienza. Il nostro obiettivo non è il lucro, a realtà di volontariato come la nostra sarebbe bastato galleggiare, ma così non è più possibile. Non è pensabile che siano realtà come la nostra a farsi carico di costi che dovrebbe sostenere lo Stato».

A rendere ancora più complesso il far quadrare i conti c’è il fatto che il sistema è ancora tarato sul “tutto pieno”. Se una struttura rimane vuota o non raggiunge la capienza massima, non sono previsti meccanismi compensativi per coprire i costi fissi. Un meccanismo, che alimenta l’emergenzialità con cui viene gestita l’accoglienza. Israel De Vito indica anche una possibile soluzione e non è il solo nel mondo del terzo settore a chiederla: «Sono anni che chiediamo un sistema a rendicontazione delle spese come il Sai (il sistema di seconda accoglienza, ndr), un riconoscimento dei costi effettivamente sostenuti».

Sono sei le strutture in gestione alla Misericordia della Valle del Savio (per circa una sessantina di posti complessivamente) che ora sono destinate a chiudere o a passare, eventualmente ad altro gestore: sono a San Vittore, Borello, Gualdo, Taibo e due a Sarsina (una è dedicata all’accoglienza dei profughi ucraini). «Abbiamo avvisato che allo scadere dell’attuale convenzione, a fine settembre, non rinnoveremo il nostro impegno. Questo non significa che metteremo le persone alla porta, sia chiaro. Anzi stiamo già studiando la strategia migliore per rendere il più possibile indolore questa transizione per le persone accolte». Così come, sottolinea De Vito, «continuano tutte le altre nostre attività, a fine ottobre ad esempio torneremo in Polonia a portare aiuti per l’Ucraina».

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