I castagneti secolari di castel del Rio sono minacciati dalle frane che da giorni stanno abbattendo alberi e distruggendo le strade per raggiungerli. Danni c’erano già stati con la prima tornata di maltempo a inizio mese, ma la situazione si sta aggravando da giorni di ora in ora, la seconda tornata è stata devastante per questa piccola economia di valle, perché sta erodendo un patrimonio monumentale della natura e della produzione agricola romagnola di qualità e certificata. Un panorama più selvatico, ma che necessita dell’intervento dell’uomo, non solo per l’innesto dei castagni, ma anche per la manutenzione di quelli più attempati, per la cura del manto sottostante, le potature e la pulitura, la lotta contro i parassiti, e infine la raccolta. Nella Vallata del Santerno si raccoglie in particolare il marrone Igp che porta il nome del paesino più a monte di Imola. La castanicoltura qui ha secoli di vita, ma come in molti altri casi è negli ultimi decenni che ha cominciato a soffrire e ora le frane che hanno interdetto i passaggi ai castagneti rischiano di dare il colpo finale.
Castanicoltori in lotta
«Nel 1976 l’estensione del castagneto delle nostre zone ammontava a 455 ettari, oggi a 411. Il calo quindi non è stato drastico, anche se stimiamo che questa nuova ondata di maltempo ne possa erodere alla fine un altro 10% – spiega il presidente del Consorzio castanicoltori di Castel del Rio Giuliano Monti che ha anche un agriturismo e sta vivendo sulla sua pelle l’isolamento dovuto ai nubifragi di questi giorni –. Nel 1985 ci fu il picco minimo, perdemmo molte piante sotto il peso di una nevicata eccezionale, ma come sempre da un tracollo seguì una rinascita e fu in quell’occasione che si rilanciò la castanicoltura nella nostra vallata. Oggi però è diverso. Dal 2011 lottiamo anche contro la vespa cinese, che per la castanicoltura è stata come il Covid per gli umani. Una battaglia, quella fatta con i lanci di insetti antagonisti, che nonostante le rassicurazioni, è tutt’altro che vinta e quindi va ricalibrata. Poi abbiamo subito la siccità e ora questa ennesima calamità delle piogge torrenziali che sciolgono i terreni – dice sempre Monti –. Non so quanti, fatto anche questa volta il bilancio dei danni, avrà voglia di rimettersi gioco e rilanciare. Temo che siano sempre meno, comunque siamo già pochissimi». Ora i soci del consorzio sono infatti 27, contro i 130 di pochi decenni fa. Sono i loro i custodi, oltre che di un paesaggio appenninico di una bellezza unica, del marrone Igp di Castel del Rio di cui se ne produce oggi una minima quantità: l’anno passato furono circa 1500 quintali su circa 2000 quintali di prodotto totale che comprende anche le comuni castagne.
Vie e strade impraticabili
«Oggi stiamo perdendo sì una parte dei nostri alberi da frutto, che la terra franata porta via con sé – spiega Monia Rontini dell’azienda agricola Il regno del marrone che al frutto autunnale dedica anche percorsi didattici in fattoria e percorsi suggestivi nel castagneto di oltre 40 ettari –. L’acqua in grande abbondanza si sta infilando sotto i primi strati di terra impregnandola e portandola via, a quel punto le frane sono possibili da evitare e le radici, a volte secolari, dei nostri castagni non sono sufficienti a fare presa. Ma al momento la criticità maggiore, ancor prima che la perdita di piante, è il fatto che sono scomparse le strade sia provinciali che le cavedagne, per riuscire a raggiungere i castagneti e fare la manutenzione. Ripristinare la viabilità è di vitale importanza per mantenere la vita e le colture in montagna», e in questo caso anche per non perdere un sapore e una coltura secolare.