Basket, Paolo Rossi: "Sono guarito dal Covid, ma è stata durissima"

Da “Viaggio allucinante” a “Cocoon”. Paolo Rossi ora si gode il fresco della campagna nella sua casa a Pennabilli, ma pochi mesi fa ha vissuto l’inferno del Covid-19. L’ex coach di Rimini, Cesena, Parma e Faenza se l’è vista davvero brutta.

Rossi, che esperienza è stata quella della malattia?

«Ho capito cosa si rischia, che è molto, moltissimo. Ho visto tantissime persone stare male, anche peggio di me, che pure non ero messo affatto bene. Un vero e proprio incubo, che per fortuna è finito bene… Sono stato 20 giorni in terapia intensiva, isolato da tutto e da tutti, 16 con l’ossigeno e 3 con il casco. Un’esperienza che non augurerei al mio peggior nemico. Se non la provi sulla tua pelle, non la immagini minimamente. Adesso sto bene, ma è stata durissima. Prima il tampone positivo, poi il saturimetro che dava i numeri e quindi il ricovero d’urgenza. Sono entrato in ospedale, a Rimini, il 10 marzo e sono uscito il 4 aprile. Ho cambiato 5 reparti. Quando mi hanno detto di andare a casa, i medici mi hanno consigliato di fare prima un salto in chiesa. Insomma, mi considerano un miracolato. La polmonite bilaterale era gravissima».

Lei non ha mai sottovalutato il virus.

«Assolutamente no. Mi ha sempre fatto preoccupare, soprattutto per i miei cari. Quando andavo in treno a Faenza per gli allenamenti, stavo attentissimo, avevo paura. Poi sono stato esonerato, il treno non l’ho più preso, ma il maledetto virus me lo sono beccato comunque».

Ha ancora paura?

«È un’esperienza che ti segna. Ho fatto degli esami anche pochi giorni fa e vanno bene. Credo di esserne uscito definitivamente, ma resto in campana. Perché bisogna stare in campana. Conosco molte persone che sono state positive asintomatiche o con pochissimi e lievi sintomi. Per loro sì che il covid è stato come un’influenza. Ma non venite a parlare di influenza con me e con tutti quelli che hanno rischiato di non tornare a casa dall’ospedale. E soprattutto a volte ci dimentichiamo che fino a poche settimane fa avevamo, qui in Italia, centinaia di morti al giorno».

La campagna vaccinale sta procedendo, ma ci sono ancora molti scettici.

«Per rispetto della propria vita e di quella degli altri, bisogna vaccinarsi. Capisco che si possano avere dei dubbi, ma non si può giocare sulla pelle delle persone. I numeri confermano che il vaccino contiene i ricoveri e i decessi. Bisognerebbe far parlare e ascoltare di più chi il virus lo ha avuto come l’ho avuto io. Penso che molti scettici cambierebbero idea. I medici, gli scienziati faranno i loro studi e cercheranno di capirci di più, ma intanto vacciniamoci».

Cosa ne pensa del green pass?

«Credo che prioritariamente sia un’ottima misura per incentivare le persone a vaccinarsi. E poi è utile in termini di sicurezza. C’è in tutto il mondo, non capisco le polemiche».

Passata la tempesta, è ora di reimbarcarsi con il basket.

«Il basket è la mia vita, indipendentemente dal fatto che stia allenando o meno. Sono sereno, faccio il nonno, curo la mai terra in campagna, ma la pallacanestro mi accompagna sempre. È la mia “cocoon”».

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