Baseball: Antolini: "La vittoria viene da 7 anni di sconfitte"

Lo scudetto 2021 del San Marino, in ordine cronologico, è l’ultimo capitolo dell’avventura di Alberto Antolini nel mondo del baseball. Un’avventura ultra-quarantennale, con il patron dei titani, cuore Bulldogs di nascita, cresciuto alla scuola di Rino Zangheri, col quale ha costruito uno degli squadroni più forti dei Pirati, poi esploso definitivamente quando si è messo in proprio a San Marino. Mercoledì sera, mentre la squadra festeggiava sul diamante, Antolini era appoggiato al dug-out, quasi rilassato, volutamente e piacevolmente deciso a stare dietro le quinte.

Ma dentro cosa provava?

«Ho sempre pensato che con Tiago non potessimo perdere né garaquattro, né questo scudetto. Pur con la consapevolezza che di fronte avevamo un avversario forte come Bologna, ma erano due squadre costruite in modo totalmente diverso. E io so come avevamo costruito la nostra, una squadra fatta su misura per questo campionato, pensata a febbraio e costruita a periodi, che trovasse la sua realizzazione al momento giusto».

Quando ha pensato che lo scudetto poteva tornare sul Titano?

«Garatre era la partita spartiacque, come spesso accade in una serie corta e le squadre sull’1-1. Anche se avessimo perso quella partita, ero convinto che avremmo vinto alla “bella”. Ero fiducioso, perché garatre si giocava il 17 e quando c’è il 7 di mezzo sono tranquillo. Ma questa è una faccenda personale».

A livello di percentuali, quanto contano società, staff tecnico e giocatori nella conquista di uno scudetto?

«Tanto e niente, in tutte le sue componenti. Mi spiego: per me parte tutto dal cuore che si mette in campo e non solo. Il cuore comanda tutto, poi i numeri lasciano il tempo che trovano. Certo, bisogna essere bravi a creare un gruppo e non è facile mettere assieme, tra l’altro in poco tempo, caratteri, lingue e mentalità diverse».

Perchè San Marino non vinceva un tricolore dal 2013?

«Per vincere bisogna avere fame e questa vittoria viene da sette anni di sconfitte. Se abbiamo perso nel corso degli anni è perché eravamo più deboli, come i 3-0 subìti nel 2017 con Rimini e nel 2019 con Bologna. Le mancate qualificazioni ai play-off ce le siamo meritate. Quindi onore a chi ha vinto, a chi ci ha battuto, poi come disse qualcuno, nel baseball può anche piovere e nel 2020 la pioggia del Falchi ha rappresentato un fattore decisivo. Ma se dopo 8 anni siamo tornati a vincere, significa che siamo ancora capaci».

Che significato può avere lo scudetto del San Marino?

«Per la Repubblica un’altra conferma dello sport al vertice. Per il baseball italiano e per gli organi federali, che ci sia ancora una possibilità di rilancio, ricrescita, riscatto».

E per il territorio?

«Spero che possa servire per costruire, con le realtà vicine, un rapporto totalmente diverso rispetto a quello attuale. Dopo Zangheri la crisi di questo piccolo ma importante territorio era scontata, qualcuno l’ha capito, altri no».

Le è piaciuta la nuova formula del campionato?

«No, è stato un brutto campionato, reso ancor più brutto dalla situazione pandemica che l’ha accorciato. La stratificazione del campionato in più livelli (il riferimento è alle enormi differenze tecniche tre le 32 squadre di serie A, ndr) non è altro che la lettura di come lo stesso nostro movimento sia stratificato in più livelli».

Quindi?

«Hanno provato a cambiare, non ci sono riusciti, è un’esperienza da non ripetere. Spero che questa stagione sia servita a capire cosa c’è bisogno per il futuro. Ci sono realtà e potenzialità totalmente differenti, il baseball ha bisogno di tante partite di alto livello, rappresentato quest’anno solo dalle finali scudetto e poco altro».

Parliamo un attimo del futuro: che San Marino sarà nel 2022?

«La mia intenzione è quella di voler smettere. E’ ora. Quando sono arrivato ero il più giovane, ora sono il più vecchio, vedo tanti presidenti o dirigenti viaggiare sui social, io non sono un personaggio social, anzi sono parecchio lontani da me. Il vero problema non è cosa farà Antolini, ma dove andrà a finire il baseball italiano. Da solo non ho la forza di pretendere un baseball diverso, mi chiedo chi sono (se ci sono) i miei compagni di battaglia».

E se dovesse andare avanti?

«Il San Marino sarà competitivo, qualcuno ha pure detto che con questa squadra si potrebbe aprire un ciclo. Io sui cicli sono un po’ più cauto, ma quella di quest’anno era una bella squadra, seppur rinforzata cammin facendo con due top come Centeno e Tiago. E poi San Marino si è riguadagnato la possibilità di giocare la Coppa Campioni come spetta a chi vince lo scudetto. Speriamo di poterla organizzare in casa. Servirà un secondo campo, sperando che gli interminabili lavori allo Stadio dei Pirati siano terminati».

In una lettera pubblicata dopo lo scudetto, c’erano tre dediche. Perchè questi personaggi?

«Beh, Rino Zangheri mi ha dato tanto e insegnato tutto, Bruno Bertani (scomparso pochi giorni fa, ndr) è stato un altro grande dirigente e al quale ero legato da profonda amicizia, e infine Gibo Vittori (ex pitcher di Santarcangelo e Rimini, ndr) mio cognato, che ci ha lasciato a maggio».

In questi ultimi anni le è mancato il Rimini?

«Mi manca Rino. Ma io non potevo fare ombra al Pres e a tutto quello che lui è stato, ha fatto e ha rappresentato. Come ho sempre detto, lui voleva che le cose andassero così».

È vero che le rare volte che va in trasferta, al nono inning lascia lo stadio?

«Sì, l’ho fatto anche quest’anno nelle due finali a Bologna. Lo facevamo anche con Zangheri: se la partita era stretta, lui si alzava e lasciava la tribuna. Poi continuava a guardare la partita da lontano, magari di nascosto».

Perché continua a investire, si appassiona e a volte si infervora ancora per questo sport?

«E’ l’unico sfogo che ho nella mia vita. E probabilmente perché continuo a emozionarmi. Lo confesso, quando in garauno ho rivisto Tiago sul monte, mi sono commosso».

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