Bonus psicologico, al via una rivoluzione culturale, lo psicologo non è più un lusso. In campo fino a 600 euro per paziente con tetto Isee entro i 50mila euro. Presentato senza successo nella legge di Bilancio per il 2022, torna sul tavolo grazie al Decreto mille proroghe l’emendamento sull’incentivo per combattere i disagi inaspriti dalla pandemia. Ora resta solo il passaggio dell’approvazione in aula. Già fissato invece un fondo da 20 milioni di euro, di cui la metà sarà destinata ai cittadini anche se con modalità ancora da definire. Certo è che le 300mila firme raccolte per avvalorare la richiesta mostrano un’urgenza sociale senza precedenti. A fare un primo bilancio del sasso lanciato per spezzare una lunga stagnazione è la dottoressa Cinzia Carnevali, psicoanalista della Società italiana di psicoanalisi e analista di gruppo SIPsA-Coirag, nonché autrice con Paola Masoni e Daniela Marangoni del volume “Adolescenti oggi”.
Dottoressa, il bonus rappresenta una rivoluzione culturale, ora che la psicoanalisi non è più vista come un lusso?
«Assolutamente sì, siamo di fronte a un passaggio epocale. Come Società italiana di psicanalisi, ci stiamo confrontando per individuare le linee guida essenziali, in collaborazione con altre scuole di psicoterapia, con l’obiettivo di offrire un contributo serio alla popolazione nelle fasce più deboli. A sostenerle, punto essenziale, saranno professionisti preparati ed iscritti all’albo».
Non crede che alcuni comparti, messi a dura prova dall’emergenza in corso, come sanitari e docenti, avrebbero dovuto godere del bonus, al di là dell’Isee?
«Solo il 6% della popolazione verrà raggiunto da questa iniziativa. Ogni paziente riceverà in media 12 sessioni di psicoterapia. Un dato che andrebbe allargato, certo, tuttavia non farei un discorso di comparto, anche se vanno estese le fasce coinvolte. Intendo piuttosto il bonus come aiuto da declinare su tutta la popolazione, dai bambini alle coppie, passando per le famiglie. L’obiettivo principale è aprirsi alle zone periferiche del territorio, facendo emergere un disagio psichico sommerso, dove portare in modo serio e con grande umiltà il nostro contributo professionale. Resta comunque innegabile che anche cittadini con un buon retroterra culturale abbiano risentito degli effetti pandemici. E che i docenti abbiano dovuto fare i conti con un enorme senso di impotenza».
Dopo due anni di Covid la fatica di vivere impatta anche sui giovanissimi?
«Va accordata un’attenzione tutta particolare agli adolescenti. Se il rischio scompenso psicotico non viene affrontato per tempo esploderà infatti alla prima difficoltà, più avanti. Ma non è tutto, purtroppo i suicidi vanno aumentando anche nell’infanzia. Al riguardo dobbiamo impostare subito un lavoro di prevenzione».
Sono previsti altri sostegni?
«Stiamo lavorando per fornire terapie a tariffe agevolate a chi non rientrerà nel bonus».
Sarebbe utile potenziare la rete pubblica di servizi?
«Questo resta un punto fondamentale. Specialmente se si parla di adolescenti, è irrinunciabile un dialogo costante con genitori, scuola ed ente pubblico a tutti i livelli, in primis l’Ausl».
Talvolta proprio dai ceti più disagiati le sedute vengono viste con paura, pregiudizio o vergogna.
«È indispensabile attuare un’opera di sensibilizzazione, tramite eventi culturali e coinvolgendo più istituzioni possibili, partendo ad esempio dai Musei. Alcuni progetti devono puntare a raggiungere le donne lavoratrici, per aiutarle a riappropriarsi della propria vita. In proposito abbiamo varato progetti per inviare nelle famiglie giunte da altri Paesi giovani dottoresse affiancato da personale di origine straniera, partendo dal semplice spunto di un’intervista. Un’occasione per dialogare, da cui sono emerse talvolta storie di violenza familiare. Al contempo cerchiamo di coinvolgere anche i padri, perché è possibile riuscire ad ascoltare anche le aree più dolorose e distruttive di una persona. Dietro a un adulto segnato da un disagio profondo che equivale a una “non esistenza”, c’è spesso un bambino che un tempo è stato messo a rischio di esistere. La rabbia distruttiva non è infatti che una difesa rispetto al senso di morte. Ecco perché bisogna lavorare su vari aspetti: psichico, relazionale e sociale, nonché medico. Senza dimenticare, come segnala il presidente della Società psicoanalitica italiana, Sarantis Tanopulos nel “Manifesto della salute mentale”, che la cura è soprattutto valorizzazione della persona e difesa della Democrazia. “Il soggetto lacerato può ritrovare il suo posto di cittadino nella vita lavorativa, culturale e politica. Questa non è un’utopia, bensì una spinta vitale e una scelta civile: la sofferenza, a cui siamo tutti esposti, può essere alleviata, elaborata e trasformata in desiderio di vivere”».