Al Cavallino di Maranello, a tavola e in cucina coi miti ma senza nostalgia

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MARANELLO. C’è un luogo ad altissima concentrazione di Made in Italy ed è là dove si incrociano cibo e motori. L’Emilia-Romagna, che di questi due settori di fatto è ambasciatrice da sempre, ora ha anche un proprio Gran premio di Formula 1, che si correrà a Imola il prossimo week end, per celebrare il binomio. Non è banalmente marketing, è sostanza di un mondo artigianale che da queste parti sa arrivare ai vertice mondiali e c’è un luogo dove questo è evidente agli occhi e al palato. A Maranello poco meno di un anno fa ha riaperto il Ristorante Cavallino: di fronte a sé ha l’ingresso principale della casa automobilistica più famosa al mondo, di cui a sua volta porta le insegne racchiudendone nelle proprie sale foto e cimeli originali, alle spalle ora ha anche un’altra grande firma, quella di Massimo Bottura e del Gruppo Francescana. Il sodalizio per far rivivere dopo un anno di chiusura lo storico ristorante voluto a metà Novecento da Enzo Ferrari per ospitare collaboratori, colleghi, partner e per guardarsi in santa pace i Gran premi, diventa realtà a giugno 2021. E “in pista” vede fin dall’inizio uno chef di personalità e sapienza come Riccardo Forapani, affiancato da uno staff di cucina e di sala performante come un team corse. «Come entrambi i marchi sono abituati a fare, si trattava di creare qualcosa di nuovo e di importante proiettato nel futuro», dice lo stesso chef. E Riccardo Forapani, forte di un’esperienza di 13 anni all’ Osteria Francescana, modenese doc egli stesso, si è dimostrato la persona giusta, al momento opportuno, nel posto che sembra fatto apposta per lui.

Il mito e la tavola

Il Cavallino nasce nel 1942, anno in cui Enzo Ferrari rilevò i terreni e la casa colonica dell’ex Fondo Cavani, dirimpettaio della sua fabbrica di automobili. All’inizio venne utilizzato come mensa dei lavoratori dello stabilimento, spogliatoio e sede di formazione per la manodopera, nel 1950 fu aperto al pubblico come Ristorante Cavallino. Qui Enzo Ferrari riceveva a pranzo i suoi collaboratori, i clienti, gli amici nella sala privata dove amava guardare i Gran premi. Quelle stesse salette, rinnovate dall’architetta e scenografa India Mahdavi in uno stile elegante ma anche giocoso che riporta dritto agli anni d’oro del motorsport, gli anni Ottanta e Novanta, con pareti, arredi e stoviglieria sgargianti in rosso e giallo “pantone Ferrari”, in passato hanno ospitato principi e principesse, il tre volte campione del mondo Jackie Stewart, o John Surtees, l’unico pilota al mondo campione mondiale sia per le moto che per la Formula 1, che Enzo Ferrari invitò lì a mangiare per convincerlo a guidare una sua monoposto. La foto in cui il Drake imbocca amorevolmente il pilota con le prelibatezze emiliane è ora sul frontespizio della carta, così come sulla carta dei vini compare la foto celebre della chiacchierata fra Enzo Ferrari e Gilles Villeneuve scattata dal fotografo imolese Gianni Sanna. A quei tavoli si sono consumate pagine storiche del motorsport, il cui racconto è fornito dal preparatissimo Giovanni Meraviglia, che affianca il maitre Luis Diaz, e il giovane staff di sala. Tutti pronti a raccontare come il musetto appeso al muro della sala sia proprio quello della monoposto di Leclerc con cui vinse l’ultima volta a Monza, oppure perfettamente in grado di illustrare a che monoposto appartennero i motori scintillanti e gli alberi a camme passati dai box a un presente di pezzi da museo. Gli aneddoti ovviamente sarebbero infiniti. Sempre a questi tavoli, ad esempio, nel 1987, Bernie Ecclestone e Jean-Marie Balestre furono informati da Enzo Ferrari che mai avrebbe accettato le nuove regole di dismissione dei turbo a favore della partenza aspirata. A volte la storia si trasferisce anche alla carta, ad esempio nei tortelli verdi “record della pista” dedicati a Mario Andretti. Narra la leggenda gourmet che Ferrari lo invitò a pranzo al Cavallino all’indomani della morte di Gilles Villeneuve, era l’aprile di 40 anni fa esatti, e siccome aveva perso il suo amato pilota, mentre Didier Pironi era in reduce da un incidente e Patrick Tambay con una spalla bloccata, gli serviva qualcuno per testare la nuova vettura. Dopo due piatti di quei tortelli e una abbondante dose di lambrusco Andretti si disse pronto per mettersi al volante, e tirò fuori il nuovo record sulla pista di Fiorano. Oggi pranzano e cenano qui i vertici della scuderia, piloti a volte, tecnici, nella stessa saletta a porta chiusa con il grande tavolo laccato di rosso al centro, poi giornalisti, clienti Ferrari, semplici appassionati della Rossa come di buon cibo, persone del posto. «A ogni servizio gestiamo contemporaneamente tanti tipi di clientela, dal manager, al giornalista, ai turisti e appassionati in visita a Maranello, persone che arrivano da tutto il mondo e persone del posto – spiega lo chef Riccardo Forapani –. Anche per lo staff di sala è stimolante perché può mettersi alla prova costantemente fornendo a ciascuno un servizio su misura».

La proposta gastronomica

«Cerchiamo di dare risalto a entrambi i brand evidenziando la storia di ciascuno e vogliamo che entrambi siano orgogliosi di noi – spiega ancora lo chef –. Tutti i nostri piatti nascono con un criterio: dire chi siamo e da dove veniamo, ma anche dove stiamo andando. Si possono riprendere a volte dettagli dal passato per riportarli ai giorni nostri, lo fa la Ferrari con le sue vetture vedi l’ultimo modello Daytona che riprende motivi e linee degli anni Sessanta ma è assolutamente proiettata nel futuro e nell’innovazione, lo stesso si può fare anche in cucina». Alcuni piatti sono già diventati emblematici: il creme caramel al Parmigiano Reggiano, il risotto cotto nel forno, lo scrigno di tortellini, il cotechino alla Rossini. L’originalità di averli pensati, la messa a punto dell’equilibrio nella preparazione in parte li ha già sottratti al tempo. Succede a certe automobili di queste parti: ammiri la F40, la 250 GTO, sono belle e basta, il tempo non le scalfirà. È già lo stesso per certi sapori di casa nostra, il Parmigiano Reggiano, l’aceto balsamico tradizionale di Modena, il lardo, i salumi... potrebbe succedere anche a questi piatti che li sanno celebrare e innovare.

I piatti, sapori indelebili e sorprese. Condensare l’italianità a tavola in una carta di due pagine? Si può fare. Toccare la tradizione gastronomica emiliana? Con audacia e altrettanta sapienza è possibile. Riccardo Forapani e la sua giovane brigata, al Cavallino di Maranello lo fanno da poco meno di un anno. Così per iniziare una tigella può diventare un minuscolo macaron, un morso di pane e mortadella diventa un piccolo bun al vapore dal cuore rosa, lo gnocco fritto invece resta lui, sontuoso con una fetta di coppa. La frittata di cipolle, Parmigiano e aceto balsamico tradizionale che cambia sembianze in creme caramel continui ad assaporarla anche dopo averne centellinato le due fettine, indelebile. La stuzzicante sezione dedicata alle preparazioni alla brace, riserva ad esempio un boccone completamente mediterraneo: peperone ripieno di pomodori secchi, olive taggiasche, chips di peperone giallo e il tocco a sorpresa del latte di mandorle che soppianta il classico latticino. La brace suggella anche lo sposalizio misto fra anguilla e piccione, smussati dalla punta acida di giardiniera e salsa carpione. Si può poi scegliere fra cinque primi e altrettanti secondi. Ci sono sempre le tagliatelle al ragù e i tortellini in crema di Parmigiano Reggiano, con l’ingrediente extra: l’essere preparati dai giovani adulti affetti da autismo del progetto Tortellante. Ma due punti cardine (che rientrano anche nel menù degustazione da cinque portate, costo 70 euro) sono anche l’appagante risotto al forno “omaggio a Gualtiero Marchesi”, giallo zafferano e foglia d’oro, mantecato con il beurre noir alle erbe tostate. Un portagioie sontuoso, con il rosone del Duomo di Modena impresso sulla cialda che lo chiude, svela il contenuto di tortellini e lingua. Non poteva che nascere qui il “cotechino alla Rossini”, dove i medaglioni di insaccato prendono il posto del filetto e fondono la loro sapidità con la dolcezza della salsa classica a base di foie gras e tartufo e le marasche. Piatti dai sapori decisi, mai fraintendibili, con un piede nella tradizione sì, ma capaci di incuriosire e a tratti di stupire. LA.GIO.

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