Ai vigili urbani il compito di spegnere gli incendi

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Il 9 dicembre del 1908 il Consiglio comunale di Rimini approva il Regolamento organico per il corpo delle guardie-pompieri. Con le nuove disposizioni il compito di spegnere gli incendi spetta alle guardie comunali, coadiuvate da un piccolo nucleo di volontari scelti tra «le categorie dei muratori, falegnami, fabbri, lattonieri, vetrai, meccanici, fumisti, imbianchini, carpentieri e “affini”». Il Regolamento si compone di 130 articoli ed è diviso in due parti: «Pel servizio di polizia urbana» e «Pel servizio dei pompieri». La squadra che d’ora in avanti avrà l’incombenza di aggredire il fuoco è composta da 37 elementi: il comandante con la qualifica di ispettore; il vice comandante col grado di brigadiere; due vice brigadieri permanenti, un vice brigadiere meccanico-macchinista, 20 guardie-pompieri permanenti e 12 volontari. Primo comandante del corpo è Elia Testa, ispettore di polizia municipale ed artefice della riforma Composta la compagnia, Testa si dedica anima e corpo alla sua efficienza e al rinnovo del materiale pompieristico: acquista gli estintori, la pompa a vapore, il carro di primo soccorso e due scale aeree. Nuova di zecca è pure la «divisa da fatica» delle “guardie-pompieri” – così, d’ora in avanti saranno chiamati i vigili urbani –. L’ispettore, che ha l’appoggio incondizionato dell’amministrazione comunale, ha idee chiare e sa il fatto suo ed è soprattutto aggiornato sugli ultimi sofisticati macchinari in commercio: segue i progressi della tecnica; visita fabbriche, controlla di persona e studia gli effetti dei congegni; alcune sue originali intuizioni hanno persino migliorato e reso più efficaci vecchi arnesi (L’Ausa, 10 luglio 1909). Diversi municipi lo consultano per i loro servizi antincendio. Per affiatare il gruppo delle “guardie-pompieri” su basi operative moderne e funzionali, nel 1909 Testa realizza nell’ex convento degli Agostiniani, in via Cairoli, la caserma. Al piano terra dell’edificio trovano posto il “quartier generale”, la sala ritrovo, gli spogliatoi, il bagno, l’officina per le riparazioni e i lavori di manutenzione degli attrezzi e il magazzino dove è raccolto il materiale comunale per l’annaffiamento delle strade, per la nettezza urbana e per l’affissione. Al primo piano sono sistemati l’alloggio del macchinista-meccanico e il “camerone” per il pernottamento di quattro agenti. Prima di questa struttura i pompieri di Rimini non avevano un luogo dove riunirsi: il recapito per gli allarmi era sotto il loggiato comunale e il magazzino degli «arnesi da incendio» era in un piccolo scantinato, squallido e buio, sul retro di piazza Cavour dalla parte di piazza Malatesta. L’efficienza operativa del nuovo apparato di soccorso porta alle stelle l’entusiasmo della popolazione. I primi interventi sul fuoco sono salutati addirittura da applausi, molti dei quali indirizzati al comandante, alla sua perizia, al suo coraggio e alla sua abnegazione. Tanti gli atti ardimentosi che lo vedono protagonista. Ma la competenza e l’autorevolezza del comandante e la capacità delle sue “guardie-fuoco” non risolvono i due grossi inconvenienti che ancora inceppano il servizio antincendio: l’allarme e i mezzi di trasporto. L’allarme, vale a dire la chiamata dei pompieri effettuata con il campanone del Municipio, è tardivo e di conseguenza rallenta la radunata, la partenza, la sistemazione degli attrezzi e la messa in funzione della pompa a vapore. Più ancora dell’allarme, a frenare il servizio pompieristico, sono i mezzi di trasporto. In un periodo in cui scienza e tecnica avanzano a velocità vertiginose i pompieri della più fascinosa spiaggia d’Europa procedono ... a piedi. Il corpo ha in dotazione 5 biciclette, ma per trasportare pompe e macchinari, queste non servono. Servirebbero altri veicoli, ma le casse del Comune, dopo le ingenti spese sostenute per la caserma e il materiale, sono vuote e non se li possono permettere. Nel 1912, grazie alla ostinata insistenza di Elia Testa, è acquistato un carro a trazione animale con pompa incorporata che consente il trasporto di sei uomini. Per farlo funzionare, naturalmente, servono i cavalli, che non ci sono. Per averli è necessario requisirli dalle vetture di piazza come prescrive l’articolo 49 del Regolamento. Una procedura che a parole sembra semplice, ma che nei fatti determina un’enorme perdita di tempo. Senza contare poi le lagnanze dei vetturini obbligati, controvoglia e nelle ore più impensate, ad un lavoro straordinario, ingrato e mal pagato, svolto unicamente per non incappare nelle pesanti sanzioni previste dalla normativa. Questa situazione andrà avanti fino alla primavera del 1915, quando il Municipio, stanco di subire le richieste delle sue “guardie-pompieri” e le proteste della cittadinanza, si deciderà al gran passo: acquisterà un carro-automobile (autocarro) di seconda mano e lo adibirà per il trasporto di materiale e di uomini. Dalla trazione animale, si passerà, finalmente, alla trazione a motore. E le cose miglioreranno.

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