Apre la mostra di Filippo Sorcinelli a Santarcangelo

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«Tutte le fascinazioni ricevute da bambino accompagnando mia madre in chiesa sono oggi la cifra stilistica della mia vita».

Così Filippo Sorcinelli, artista poliedrico, maestro d’arte, organista, imprenditore che ha sposato la bellezza dell’arte sacra, spaziando dalla percezione visiva a quella acustica e olfattiva, racconta come è nato il suo amore per quella che definisce la più potente tra le arti. «È scorrazzando tra le navate e le cappelle, tra la sacrestia e il coro, mentre mia madre ogni sabato puliva la chiesa parrocchiale di Mondolfo, dove sono nato e cresciuto, che sono entrato in contatto in maniera prepotente con l’immensa potenza delle immagini, dei paramenti, dell’incenso, dell’organo».

Sta qui la risposta a tutto ciò che Sorcinelli, noto da tempo come «il sarto dei papi», crea spaziando dalla produzione di paramenti sacri alla pittura, dalla fotografia alle installazioni, passando per la musica fino ai profumi. L’occasione per venirne a contatto è il progetto espositivo che si inaugura oggi, ore 18, al Musas. Si intitola “Accordi e fughe” e coinvolge altri due luoghi per lui significativi quali Mondolfo e Roma, ricomprendendo incontri, concerti, conferenze. Un’opportunità per conoscere la sua sfaccettata attività che si snoda dall’Italia all’Europa, attraverso il tema a lui più caro, la contaminazione dei sensi, ovvero la «sinestesia, un mio linguaggio divenuto anche un festival giunto alla 6ª edizione».

La mostra scandisce i vent’anni di attività dell’Atelier Lavs da lui fondato e diretto, che si occupa di progettazione e realizzazione di vesti sacre per la Chiesa cattolica, che ha sede a Santarcangelo, da cui partono per il mondo le sue creazioni.

Sorcinelli, perché ha scelto di trasferirsi a Santarcangelo?

«Perché sono rimasto folgorato dallo splendore di questo posto, dove ero semplicemente venuto a cena. Qui ci sono rimasto anche ad abitare per 18 anni, da 2 anni sono tornato a vivere a Mondolfo dove è partito tutto e dove oggi cerco di dare un impulso culturale contribuendo a far nascere nuovi progetti. A Santarcangelo è rimasto l’Atelier che qui si è sempre più implementato. È una città stupenda, carica di sollecitazioni culturali».

Un altro episodio della sua giovinezza e della sua formazione, in questo caso musicale, l’ha avvicinata a questa città?

«Sì, pur conoscendolo da vicino, per la prima volta ho sentito suonare l’organo a San Vito, nella chiesa dei Passionisti, ed è stata una mezza sindrome di Stendhal, mi sono accasciato e ho detto che volevo studiarlo. Così ho fatto, prima al Conservatorio di Pesaro e poi al Pontificio Istituto di Musica Sacra di Roma. Parte da lì il mio legame con la Romagna».

Lei sostiene che la Romagna ha una marcia in più.

«È tra le terre più splendenti non solo culturalmente, ha una brillantezza che non si trova altrove e credo che molto parta dal temperamento delle sua gente, accogliente per vocazione».

Parliamo della mostra santarcangiolese e del titolo che ha scelto, “Accordi e fughe”.

«Parlo di accordi perché quasi il 100% dei miei lavori esposti al Musas cerca di dialogare con la struttura e con le opere del museo. Si tratta di un legame che nutro da sempre con le forme del patrimonio gotico. Mentre le fughe sono quelle di un artista libero che opera senza condizionamenti; fughe che sono un grido per descrivere il dramma, le cicatrici che rappresentano il mio rapporto conflittuale con la Chiesa e con l’arte sacra e con cui cerco di arginare le fratture che ci dividono dalla bellezza».

Ma che cos’è per lei la bellezza e come la si può difendere?

«Viviamo in una società lobotomizzata dove domina il desiderio di accomunarci tutti e sta diminuendo, oltre al gusto della bellezza, anche il flusso della spiritualità a ogni livello, anche nella Chiesa che, a forza di rincorrere il quotidiano, non ricerca più una dimensione verticale. Inoltre viene a mancare la curiosità verso le nostre radici, verso l’arte e quell’andare oltre la mera percezione delle cose. C’è un grande impoverimento».

Lei fa arte, quindi nutre la speranza che si possa ritornare a dare senso alla bellezza e ritrovare il bisogno di autentica spiritualità?

«Sì, la nutro. E vedo tante scintille. Da parte mia artisticamente cerco di descrivere questo dramma della ricerca che è un urlo, un desiderio continuo per cercare di far capire cos’è la bellezza».

Il percorso espositivo è molto singolare poiché si dipana dalla musica alla pittura e scultura, dai paramenti sacri alla diffusione di fragranze, garantendo al visitatore un’esperienza multisensoriale. Ma cosa la fa sentire più in armonia con le sue scelte?

«Quando mi dicono che le mie opere sembrano sempre essere state in quel luogo dove risultano perfettamente inserite, ecco questa per me è la considerazione più bella».

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