Antidoti di Mario Guaraldi: il fetore della solitudine

Cultura

Fra le notizie cosiddette “minori” dei giorni trascorsi, mi ha colpito quella dell’anziana di 78 anni trovata morta nel bagno di casa sua dopo ben due settimane. Se la vicina di casa non avesse annusato quello “strano odore” che filtrava dal pianerottolo, chissà quando si sarebbe scoperta la sua dipartita. Così la cronaca giornalistica.
Non so se vi rendete conto: tutto normale. Nessuna notizia di figli o parenti che si preoccupino del silenzio di quella povera donna, nessun bottegaio che si renda conto che la “vecchina” non veniva più a prendere pane e latte da 15 giorni, solo una vicina di casa che origlia, come al solito, per sentire qualche rumore. Ma è solo quello strano odore che filtra dalla porta a convincerla che forse è successo qualcosa, che forse conviene chiamare la polizia, e questa i vigili del fuoco per forzare la porta…
Ho letto attentamente, tutte le cronache parlano di “strano odore”, nessuna usa il termine corretto di “fetore”, l’odore della morte, quello di Lazzaro, che già mandava “cattivo odore” dopo soli quattro giorni. Mi domando se non sia proprio perché il termine “fetore” è collegato alla morte che sembra scomparso dal vocabolario corrente. Da ragazzini noi ci davamo spesso e volentieri del “fetente” e ricordo che lo stesso termine veniva spesso utilizzato negli interrogatori dei mafiosi per indicare un traditore: uno che avendo perso l’onore era già dichiarato morto, già puzzava da morto, era un fetente. Perché la morte è corruzione ed è questa che produce il suo lezzo insopportabile anche, anzi soprattutto, quando è traslata nel sociale e nel politico. «Quanta corruzione c’è nel mondo – ha gridato il Papa a Scampia –: è una parola brutta, perché una cosa corrotta è una cosa sporca. Se noi troviamo un animale che è corrotto è brutto, puzza. La corruzione puzza e la società corrotta puzza, e un cristiano che fa entrare dentro di sé la corruzione non è cristiano, puzza». Anzi, “spuzza” per dirla col suo felice errore di pronuncia.
Ma nel piccolo caso di cronaca locale di cui sopra, di fetente c’è solo l’indifferenza per la solitudine di quella povera donna, fra parentesi, di un anno più giovane di me che sto scrivendo di lei, una “anziana di 78 anni” che per farsi notare ha dovuto marcire nella sua stanza da bagno emettendo uno “strano odore”.
La morte sembra accettabile solo se è anonima, asettica ma soprattutto inodore. Come in televisione. Le società primitive, o quelle orientali, sono invece dense di afrori e di fetori di ogni tipo. Solo quella occidentale moderna è ossessionata dagli odori al punto da doverli mascherare con ogni tipo di profumo, derubricando le puzze come “strani odori”. Una forma di fariseismo paranoico che ha il massimo sviluppo sotto Luigi XIV, il re sole, che nella “grandeur” della Francia del diciasettesimo secolo non prevede gabinetti nella cadente Reggia di Versailles dove la puzza regnava sovrana, mescolata a zaffate di profumi. Del resto, perché scandalizzarsi del fetore emesso dalle parrucche dei nobili invase dalle pulci o dai disturbi urinari di Maria Antonietta quando pochi anni più tardi la Rivoluzione avrebbe inondato le strade di Francia coll’afrore del sangue dei ghigliottinati? Sempre di odore di morte si tratta, regimi che muoiono al pari di poveracci qualsiasi.
Certo, fa più effetto il povero prof decapitato recentemente proprio in Francia, capitale delle decapitazioni rivoluzionarie, che non la mia coetanea morta forse banalmente d’infarto più che di Covid, nell’anonimato più assoluto di un imprevisto lockdown riminese ante litteram. Due settimane di silenzio, non riesco a togliermele dalla testa. La società dell’indifferenza puzza ben più di un cadavere putrefatto, apparentemente coperta dai profumi del benessere economico svuotato di ogni briciola di umanità. Pecunia non olet, meraviglia dei proverbi, i soldi non puzzano mai.
Mi rendo conto che parlare di fetori e di morte non ti mette di buon umore, caro lettore, se esisti. Ma ti garantisco: neppure scoprire che il premier Conte ha sentito il bisogno di chiamare Chiara Ferragni e Fedez per convincere i loro coetanei a mettere la mascherina, riesce a mettere me di buon umore. Quando l’incerto bene assoluto per la salute di un intero paese viene affidato non a dei padri costituenti (ne abbiamo avuti di grandi), non a dei grandi educatori (se ancora ne esistono) o a dei poeti (che forse da qualche parte sopravvivono) o a un grande uomo di Dio (come credo sia papa Francesco, sbeffeggiato e sputacchiato come il capostipite) ma a due “influencer” graziati da Instagram, temo che le cose non vadano bene per niente.

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