Anpi, dopo 17 anni Artioli passa il testimone a Savini

Quando assunse la guida, 17 anni fa, fu il primo presidente dell’Anpi senza un passato da combattente partigiano. Ivano Artioli, insegnante di diritto ed economia in pensione, appassionato di scrittura di racconti e sceneggiature, sabato a Brisighella ha passato l’incarico a Renzo Savini, già sindaco di Alfonsine, affiancato alla vicepresidenza da Valentina Giunta.

Artioli, come iniziarono questi 17 anni di presidenza?

«Con una frequentazione, molto assidua, con Mario Cassani, figura straordinaria della Resistenza. Gli facevo da autista, in lunghi pomeriggi di confronto, nelle zone vicine al Reno, all’Alfonsinese. Per me era la possibilità di raccogliere sul campo gli elementi per la scrittura di racconti, alcuni dei quali diventati sceneggiature, con una certosina ricostruzione di alcuni fatti della lotta partigiana nel Ravennate. Da parte sua invece c’era la volontà, in seguito palesata, di formarmi».

E quindi fra il 2004 e il 2005 la provincia di Arrigo Boldrini fu la prima ad avere un presidente Anpi “semplice” antifascista, che per motivi anagrafici non aveva potuto prendere parte alla Resistenza...

«Sì, la scelte possibili erano due. Eleggere un "partigiano giovane", pescando nella generazione che all’epoca aveva attorno a 70 anni. Nella nostra realtà, invece, in particolare gli ex combattenti, vollero fare un salto».

E così fu eletto lei. Come iniziò quell’esperienza?

«Beh, durante la fase di "formazione" mi misero sulla graticola (ride, ndr). Volevano essere certi che io avessi tutti gli elementi per assumermi quella responsabilità. Del resto era un lascito importante: finita la Guerra a Ravenna c’erano 4.400 partigiani combattenti, con almeno il quadruplo di patrioti. Ero sulla sessantina, consigliere comunale. Per me iniziò un’esperienza che considero un regalo favoloso. Nei primi mesi mi resi conto che rivivevo, durante la mia azione, gli anni 43-45. Mi ci trovavo immerso, fra studi e raccolte di testimonianze. Un enorme privilegio».

Aveva però la responsabilità di portare l’Anpi nel nuovo secolo. Com’è andata?

«Quando assunsi la presidenza avevamo 2.500 iscritti, comunque tanti. In breve tempo tornammo ai numeri relativi ai partigiani combattenti del Dopoguerra. E devo dire che non fu difficile. Innanzitutto perché non lo feci da solo: il resto dell’associazione si unì nell’obiettivo del coinvolgimento dei giovani. Poi c’era anche un tessuto pronto: partiti, associazioni, sindacati ci diedero una mano. E non solo nell’ambito più vicino alla sinistra, ma con adesioni trasversali. Fino a cinque, sei anni fa siamo rimasti su quei livelli».

Poi il referendum costituzionale ha portato ad una spaccatura. Anche la lettura del conflitto in Ucraina vi ha divisi?

«Sì, con il referendum ci indebolimmo, ma penso che l’analisi di questo conflitto stia avendo uno sviluppo differente. L’Anpi Nazionale aveva avuto una lettura prudente, che poi è evoluta in base agli accadimenti. Non a caso ha aderito alla manifestazione di sabato, nella quale è intervenuto Zelensky in diretta web. A Brisighella poi c’erano tanti giovani delegate e delegati, che hanno portato nel dibattito principi di pace, ma non di "coscienza". Consapevoli di essere l’ente morale antifascista riconosciuto dallo Stato, abbiamo votato tutti i documenti all’unanimità, anche su questo argomento».

Ora come proseguirà il suo impegno?

«In questi anni abbiamo fatto cose importantissime, e nell’Isola degli Spinaroni ora c’è una scuola che ha bisogno di docenti. Se ci fossero le condizioni, mi ci vorrei dedicare».

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