Federico Fellini, 100° anniversario della sua nascita

Rimini

«Mia madre voleva che facessi l’ingegnere, invece sono diventato un aggettivo». In questa frase c’è tutto lo spirito auto-canzonatorio di Federico Fellini, c’è insieme il genio dei 5 Oscar autore dei capolavori girati a Cinecittà, ma c’è anche tanta Romagna, quella (inventata) del vitellone che sfotte i lavoratori con il gesto dell’ombrello e quella (vera) dell’amico che incontra il già famoso regista d’inverno a passeggio sulla spiaggia: e ai successi mondiali del grande conterraneo oppone l’apertura di un paio di nuovi negozi, come se fossero più o meno la stessa cosa…

INDICE:
• La Nascita
• Gli anni riminesi
• Roma e il Marc’Aurelio
• Rimini e la Romagna felliniana
• La moglie Giulietta e il figlio
• Sceneggiatore
• La dolce vita e 8 ½
• Amarcord e Guerra
• La pubblicità e la TV
• Il 5° Oscar e la morte
• Il Fellinario (filmografia)


La nascita

Federico nacque a Rimini il 20 gennaio 1920 da Urbano Fellini (1894-1956), un rappresentante di liquori e generi alimentari originario di Gambettola, e dalla madre, Ida Barbiani (1896-1984), una casalinga originaria di Roma.


Gli anni riminesi

Frequenta il Liceo classico “Giulio Cesare” dal 1930 al 1938. Da adolescente rivela già il proprio talento nel disegno, che manifesta sotto forma di vignette. Tanto da aprire insieme all’amico e “collega” Demos Bonini, una bottega di caricature accanto al Tempio Malatestiano. Disegna anche i manifesti per il cinema Fulgor dove si reca spesso.


Roma e il Marc’Aurelio

Comincia a inviare le proprie creazioni ai giornali. La prestigiosa “Domenica del Corriere” gli pubblica una quindicina di vignette. Agli inizi del 1939 si trasferisce a Roma per dedicarsi al giornalismo. Pochi mesi dopo esordisce sul “Marc’Aurelio”, la principale rivista satirica italiana, divenendo una firma di punta del giornale.


Rimini e la Romagna felliniana

Un bimbo affacciato alla finestra chiede: «Ma che cos’è?». Risposta della mamma: «È il circo. Se non stai buono ti faccio portar via da quei zingari». La parlata è quella romagnola. La scena quella iniziale de “I clowns” (1970). Prima di “Amarcord” (1973), prima di “Roma” (1972), Federico Fellini inizia a raccontare e reinventare l’infanzia. E Rimini, e la Romagna, diventano prim’attori del suo cinema. Senza mai nominare Rimini, senza mai girarci una scena, ricostruendo quasi tutto in studio. Ma se gli anni Settanta (Fellini ha 50 anni quando gira “I clowns”, film che ne fa a sua volta 50 quest’anno) sono il periodo dell’elaborazione della memoria, i luoghi d’origine sono humus che nutre il suo cinema sin dagli inizi. È il 1954, Fellini aveva 34 anni e ancora non era regista di successo, quando con “I vitelloni” gioca «uno scherzo a vecchi amici» come dirà lui stesso, e insieme a Pinelli e Flaiano porta sul grande schermo la vita in provincia, in quella cittadina sul mare che altro non è che Rimini: è qui la prima immagine della palata, il ricordo del molo di Rimini in inverno. Ritornerà in “Amarcord”, con il motociclista Scurèza. Mentre il mare, anche quello quasi sempre invernale, appare anche nel successivo “La strada” un segnale di memorie personali. Come la campagna, quella dei nonni gambettolesi. La sequenza del casolare in “8 ½” (1963) condensa quelle memorie e ne è la trasfigurazione più celebre. Ma Fellini ci torna anche ne “ I clowns” mentre ne “La città delle donne” c’è la Rosina di Verucchio. E poi ci sono i luoghi immortalati in “Amarcord” che fanno da tappeto volante alla fantasia: il cinema Fulgor (già in “Roma” e “Block notes di un regista”) e il Grand Hotel, che sembra Istanbul, Baghdad, Hollywood… (Annamaria Gradara)


La moglie Giulietta e il figlio

Comincia a scrivere per radio e cinema, per Macario e Aldo Fabrizi. Ormai ha un nome nel settore ed è indipendente. All’Eiar conosce Giulietta Masina, già nota come attrice. La sposerà il 30 ottobre 1943. Nel ’45 hanno un figlio, Pier Federico, ma il bambino muore ad appena un mese di età.


Sceneggiatore

Scrive sceneggiature per Rossellini, De Sica e Visconti, Germi e Lattuada. Conosce Tullio Pinelli, suo grande collaboratore. Con Lattuada co-dirige il primo film “Luci del varietà” (1950.) Due anni dopo l’esordio da solo con “Lo sceicco bianco” sceneggiato da Ennio Flaiano, altro storico sodale. Del 1953 è “I vitelloni”, film sulla giovinezza riminese; nasce lo stile “felliniano”. Ma il grande successo arriva nel ’55 con “La strada”, con Giulietta protagonista e primo Oscar.


La dolce vita e 8 ½

Dopo il mezzo flop de “Il bidone”, secondo Oscar per “Le notti di Cabiria” (1957) ancora con Giulietta. Nel 1960 esce il film felliniano per eccellenza “La dolce vita” che fa scandalo, e comincia la sua collaborazione con Mastroianni e Anita Ekberg. È ormai un maestro del cinema mondiale. Nel 1963 partorisce “8 ½” ed è un nuovo Oscar, il terzo. La critica lo considera uno dei più grandi film della storia del cinema.


Amarcord e Guerra

Seguiranno “Giulietta degli spiriti” (1965), primo lungometraggio a colori; “Fellini Satyricon” (1969), “I clowns” (doc per la tv) e “Roma” (1972). Del 1973 è un altro capolavoro, “Amarcord”, in cui affronta la sua infanzia riminese. Ed è ancora Oscar, il quarto. Alla sceneggiatura collabora il suo conterraneo, amico e poeta Tonino Guerra, altro nome fondamentale nella sua filmografia.


La pubblicità e la TV

Seguono “Il Casanova” (1976), “Prova d’orchestra” (1979), “La città delle donne” (1980), “E la nave va (1983), “Ginger e Fred” (1986), “Intervista” (1987) e “La voce della luna” (1990), suo ultimo film. Nel 1992 Fellini gira alcuni spot pubblicitari, ma contemporaneamente si batte pubblicamente contro le interruzioni pubblicitarie nei film in tv, entrate in uso dopo la nascita della tv commerciale.


Il 5° Oscar e la morte

Nel marzo del 1993 si reca a Los Angeles per ricevere l’Oscar alla carriera, il quinto. In giugno a Zurigo si opera per ridurre un aneurisma dell’aorta addominale. Ma le complicanze successive lo fanno entrare e uscire dagli ospedali. Le sue condizioni si aggravano e il 31 ottobre muore a Roma dove si svolgono i funerali. Rimini gli dedica una solenne celebrazione in piazza Cavour e lo seppellisce nel cimitero cittadino dove riposa con il figlio Federichino e l’amata Giulietta, scomparsa pochi mesi dopo di lui, nel 1994.


Il Fellinario (filmografia da regista)

a cura di Annamaria Gradara e Antonio Maraldi

Luci del varietà (1950)
SINOSSI Liliana, ragazza di provincia col sogno del palcoscenico, si aggrega ad una scalcagnata compagnia di avanspettacolo. Diventata Lilly, abbandona il gruppo con cui ha vissuto varie vicissitudini, e accetta l’offerta di un importante impresario. Alberto Lattuada chiama Fellini alla co-regia, con il coinvolgimento nel cast delle rispettive mogli (Carla Del Poggio e Giulietta Masina).
ZOOM Il varietà è al tramonto e a rivitalizzare lo show è lo sgambettare in mutande della debuttante Liliana che ha perduto il gonnellino. Più fame che fama, più polvere che stelle. Uno spasso il cameo della “signorina snob” Franca Valeri. E Peppino De Filippo è tutta una caduta in tentazione…
LA CRITICA «Gustoso e piacevole, per ineguale che appaia» (Arturo Lanocita, Corriere della Sera, 1951).


Lo sceicco bianco (1952)
SINOSSI Wanda (Brunella Bovo) e Ivan (Leopoldo Trieste), due sposi novelli, dalla provincia in viaggio di nozze a Roma. Approfittando di una pausa, lei parte alla ricerca dello “Sceicco bianco”, suo adorato eroe di un famoso fotoromanzo. Da un’idea per un film per Antonioni, il vero esordio di Fellini. È l’inizio della collaborazione col musicista Nino Rota.
ZOOM Lo sceicco Alberto Sordi che irrompe nell’inquadratura svolazzando su un’altalena tra gli alberi è una “zampata” già in stile Fellini. Una voce fuori campo interrompe l’istante sognante visto dagli occhi dell’ingenua sposina: “Ah Nandoooo!”. Non è ancora la pernacchia di Amarcord ma quasi.
LA CRITICA «Una vena d’umore sarcastico ma anche consolatorio» (Vittorio Bonicelli, Tempo, 1952).


I vitelloni (1953)
SINOSSI In una cittadina sul mare durante la stagione invernale, la vita di cinque amici perditempo, non più giovanissimi (Sordi, Fabrizi, Trieste, Interlenghi, Riccardo Fellini), tra noia, goliardia e velleità. Uno solo di loro, Moraldo, decide di partire. Tra i film più autobiografici di Fellini, Leone d’argento a Venezia e doppio Nastro d’argento (al film e a Sordi).
ZOOM La sbruffonaggine nel celebre “Lavoratoriii..” di Sordi, ma anche un finale che scava un solco in gola: ”Parlavamo sempre di partire, ma uno solo, una mattina, senza dir niente a nessuno, partì davvero”. “Addio Guido”, sussurra Moraldo dal finestrino del treno. La voce è quella di Federico Fellini.
LA CRITICA «Questo scorcio di vita di una piccola città di mare […] è vivo, rilevato, gustoso» (Mario Gromo, La Stampa, 1953).


Agenzia matrimoniale (1953)
SINOSSI Un giovane giornalista (Cifariello), per un’inchiesta sulle agenzie matrimoniali, si finge un cliente in cerca di una moglie. Gli viene presentata una ragazza dolce e candida che mette in crisi il suo scetticismo. Episodio di un film collettivo (gli altri sono firmati da Lizzani, Risi, Antonioni, Maselli e Zavattini, Lattuada) voluto da Cesare Zavattini.
ZOOM Con lo sceneggiatore Pinelli, Fellini inventa una storia che ha del surreale, quella dell’aspirante marito affetto da licantropia: è una sorta di lupo mannaro. Le regole del film inchiesta e del neorealismo vanno a gambe all’aria. Il Fellini che anni dopo dirà che “il vero realista è un visionario” è in embrione.
LA CRITICA «Svelto, spiritoso nell’avvio, si fa a poco a poco patetico» (Giulio Cesare Castello, Cinema, 1953).


La strada (1954)
SINOSSI L’ingenua Gelsomina (Giulietta Masina) viene venduta dalla famiglia a Zampanò (Anthony Quinn), gretto girovago che si esibisce per le piazze con prove di forza. Lui la tratta male ma quando Zampanò uccide il Matto (Baseheart), un funambolo gentile, lei trova la forza di lasciarlo. Riconoscimenti internazionali, confermati dal primo Oscar come miglior film straniero.
ZOOM Il personaggio di Gelsomina inaugura le grandi interpretazioni della Masina, una Chaplin in gonnella. Compare il circo. Il tema musicale di Nino Rota, variazione di una melodia di Corelli, annoda poeticamente l’intreccio del film. La critica si divide tra Fellini e Visconti. Pasolini non ha dubbi: è un capolavoro.
LA CRITICA «Lo stile al servizio di un universo mitologico d’artista» (Dominique Aubier, Cahiers du Cinéma, 1955).


Il bidone (1955)
SINOSSI Il veterano Augusto (Crawford) gira con i compari Roberto (Fabrizi) e “Picasso” (Baseheart) nella campagna romana cercando di truffare dei poveracci. Ravvedutosi, vorrebbe mollare ma i suoi soci non sono d’accordo e dopo un diverbio, viene lasciato morente in una scarpata. Poco apprezzato al festival di Venezia, il film venne rimontato e accorciato da Fellini.
ZOOM Tra i film ingiustamente meno noti di Fellini, dal clan dei “bidonisti” prevale la figura di Augusto: un altro Zampanò, che nel finale morirà ma senza redenzione. Il realismo dei baraccati dell’Acquedotto romano si mescola ai ritmi della festa in abito da sera che anticipa le atmosfere de La dolce vita.
LA CRITICA «Sarei rimasto volentieri delle ore e veder morire Broderick Crawford» (François Truffaut, Cahiers du Cinéma, 1955)


Le notti di Cabiria (1957)
SINOSSI
Ingenua e fragile prostituta, Cabiria (Giulietta Masina), dopo varie delusioni, conosce un impiegato (François Pérrier) che propone di sposarla. L’uomo si rivela però un truffatore e la deruba. Collaborazione ai dialoghi di Pasolini, Masina premiata a Cannes e Oscar come miglior film straniero.
ZOOM Già abbozzato ne Lo sceicco bianco, un personaggio che consacra Giulietta. Ma occhio anche alle parti non protagoniste: il divo Amedeo Nazzari, Polidor… Il comico star del cinema muto è frate Giovanni: scovato per caso, Fellini lo chiamerà ogni volta che può. Nel finale lo sguardo in macchina di Cabiria è una rinascita che buca lo schermo, e la critica più cinéphile s’inchina.
LA CRITICA «Sono ammirevoli pagine di arte cinematografica» (Nazareno Taddei, Letture, 1957).


La dolce vita (1960)
SINOSSI Incontri ed esperienze di Marcello Rubini (Mastroianni), giornalista insoddisfatto e scrittore mancato, tra le notti di Via Veneto, al seguito di dive (Ekberg) e Fregene. Molte polemiche per un successo travolgente e mondiale, Palma d’oro a Cannes e Oscar ai costumi di Piero Gherardi.
ZOOM Definito il più delle volte un affresco, capolavoro tra i più conosciuti di Fellini insieme a “8 e ½” e a “Amarcord”, segna l’incontro tra Fellini e Mastroianni, di qui in avanti suo grande alter ego. Costruito ad episodi in cui è dolce, ma anche amaro, il naufragar. È un nuovo Fellini che avanza.
LA CRITICA «È l’attesa dell’alba di un giorno ancora ignoto e un viaggio nella notte durante il sonno della ragione» (Vittorio Spinazzola, Nuova generazione, 1960).


Le tentazioni del dottor Antonio (1962)
SINOSSI
Difensore della moralità, il dottor Antonio (Peppino De Filippo) viene turbato da un grande manifesto pubblicitario in cui una sinuosa bellezza (Anita Ekberg) invita a bere più latte. Un film a episodi (gli altri sono di De Sica, Visconti e Monicelli) suggerito da Zavattini e prodotto da Ponti. Passato al festival di Cannes senza il segmento di Monicelli.
ZOOM È gigantesca l’Anita che esce dal manifesto, materializzazione dell’incubo vissuto dal protagonista. Fellini “gioca” con un vero burattinaio: la gigantografia esce dalle officine di Arnaldo Galli, re del Carnevale di Viareggio. Un ribaltamento dell’iconografia di King Kong e per la prima volta le riprese a colori.
LA CRITICA «[Fellini] si è voluto divertire e ha saputo divertire» (Giovanni Grazzini, Corriere della Sera, 1962).


8 ½ (1963)
SINOSSI
Guido Anselmi (Mastroianni), regista in crisi d’ispirazione, si rifugia alle terme dove lo raggiungono la moglie (Aimée) e l’amante (Milo). Temporeggia, ricorda e cerca di resistere alle pressione del produttore. Uno dei riconosciuti capolavori felliniani, omaggiato e ripreso da diversi registi. Due Oscar (miglior film straniero e ai costumi di Gherardi) e Sette Nastri d’argento.
ZOOM Incastonato tra l’incipit del sogno-incubo nel traffico e il finale liberatorio preferito a quello su un treno, Fellini mette in scena la propria crisi, umana e artistica, e raggiunge il capolavoro. Costellato di figure femminili, ci sono in sogno anche il padre e la madre. La Cardinale ragazza delle terme improvvisa quasi tutto. La Saraghina balla la rumba.
LA CRITICA «Una tappa avanzata nella forma romanzata» (Alberto Arbasino, Il Giorno, 1963).


Giulietta degli spiriti (1965)
SINOSSI
A Fregene, una scultrice (Masina) organizza una festa per il suo anniversario di matrimonio. Scoperti i tradimenti del marito, vede andare a pezzi i fondamenti della sua esistenza. Tra sedute spiritiche e inviti alle gioie del sesso, troverà nella solitudine la salvezza. Il primo lungometraggio a colori (Nastro d’argento alla memoria a Di Venanzo) e l’ultimo con gli sceneggiatori Flaiano e Pinelli.
ZOOM Il sogno, la psicoanalisi, ma anche l’attrazione per il mistero, l’esoterismo, sono ormai in pianta stabile nella vita e nel cinema di Fellini. Sandra Milo è Susy, “una specie di maga dell’amore”. A salvare la protagonista sarà il nonno bizzarro che cala dal cielo.
LA CRITICA «La vena del film è barocca, ridondante, perfino congestionata» (Tullio Kezich, Panorama, 1965).


Toby Dammit (1968)
SINOSSI Toby Dammit, giovane attore inglese alcolizzato, giunge a Roma per interpretare il primo western cattolico. Apatico, reagisce solo ad una bambina che gli lancia una palla e che cerca di inseguire in una corsa folle nella Roma notturna. Trittico (ci sono anche gli svogliati Malle e Vadim), ispirato ai racconti di Poe, e prima collaborazione con Bernardino Zapponi e Giuseppe Rotunno.
ZOOM “Non scommettere la testa col diavolo” il titolo del racconto di Poe da cui è tratto. Prima occasione di collaborazione con il costumista Piero Tosi che firma anche la scenografia: è frutto del suo lavoro la scena finale del baratro dove precipita con la Ferrari il protagonista.
LA CRITICA «La tecnica, l’arredo e l’illuminazione prendono il sopravvento» (Mario Verdone, Bianco e Nero, 1968).


Block-notes di un regista (1969)
SINOSSI Quella che doveva essere una lunga intervista per la rete americana NBC, si trasforma in una sorta di autoritratto tra set di film non fatti (Il viaggio di Mastorna) e quelli in preparazione (Satyricon), con il coinvolgimento di diversi suoi attori (Mastroianni, Masina, Boratto) e collaboratori.
ZOOM Dopo le parole di alcuni hippies e dello stesso Fellini ecco che compare, di spalle e nell’ombra, Mastorna: è il personaggio del film mai realizzato. Un provino fu fatto con Mastroianni. «Il suo viaggio avrebbe dovuto iniziare così – dice Fellini in inglese – Con un atterraggio inaspettato in una strana piazza, come in un sogno».
LA CRITICA «Fellini […] non cerca affatto di oggettivare se stesso, ma, al più, di dare il proprio mondo fantastico come oggettivo» (Lino Miccichè, Avanti!, 1969).


Fellini-Satyricon (1969)
SINOSSI Il viaggio, nella Roma imperiale, di Encolpio e Ascilto alla ricerca di Gitone, efebo di cui sono innamorati, passando per feste e incontri, fino al tragico finale. Libera trasposizione del testo di Petronio Arbitro, nel titolo viene inserito il cognome del regista per distinguerlo dal contemporaneo Satyricon di Gian Luigi Polidoro.
ZOOM Un testo letterario di partenza, antichissimo, frammentario. Fellini non cerca la fedeltà storica, il suo vuole anzi essere, ed è, un viaggio fantastico. Una Odissea, un film dove rivivono i miti, come quello del Minotauro. L’onirismo che viaggia nel passato.
LA CRITICA «La morte, la fine, l’annientamento sono la cifra del film, il suo messaggio estetico e drammatico» (Gian Luigi Rondi, Il Tempo, 1969).


I clowns (1970)
SINOSSI
Un’introduzione con bambino che guarda il montaggio di un tendone da circo e incrocia i clown, poi il racconto si fa inchiesta con Fellini che visita il circo di Liliana Orfei, va a Parigi per intervistare uno storico e rintracciare vecchi clown con i quali mette in scena una grande parata. Una natura ibrida per un film di produzione televisiva.
ZOOM Fellini fa già le “prove” per Amarcord nella prima parte di un film che virando poi sulla storia del circo ci fa incontrare di nuovo Anita Eckberg. A Parigi incontra la figlia di Charlie Chaplin Victoria e nel finale chiude con un sognante suono di tromba che fa riapparire il “fantasma” del clown morto.
LA CRITICA «Fellini non si è in alcun modo sottratto alla tentazione e al rischio di rifare se stesso» (Giovanni Raboni, Avvenire, 1970).


Roma (1972)
SINOSSI
Alla scoperta della città eterna e della sue contraddizioni, mescolando quella degli anni ’30 (l’arrivo di un giovane provinciale nella capitale) e quella contemporanea. Tra inchiesta e ricordi, è il film che, tra l’altro, offre ad Anna Magnani l’ultima apparizione.
ZOOM Un altro passo di avvicinamento all’amarcord riminese, prima di tuffarsi nella Roma del passato e del presente, quella del traffico del Grande Raccordo Anulare ricostruito in studio. Quella archeologica, ma è una discesa nell’anima. E c’è la grande sfilata di moda ecclesiastica: genialata con l’apporto del costumista Danilo Donati.
LA CRITICA «Il regista ci dà un ritratto della città, certamente univoco, passionale, deformato, grottesco, ma anche felliniano al cento per cento» (Dario Zanelli, Il Resto del Carlino, 1972).


Amarcord (1973)
SINOSSI
La vita del Borgo, città marinara, in epoca fascista, seguendo le gesta del giovane Titta (Bruno Zanin) della sua famiglia , dei suoi amici, gli avvenimenti pubblici e privati, e le dotte spiegazioni dell’avvocato. Scritto con Tonino Guerra, un capolavoro di memoria personale e collettiva, dal successo planetario. Oscar come miglior film straniero.
ZOOM Rimini e la Romagna completamente ricostruite a Cinecittà, il film è anche il ritratto della provincia italiana all’epoca del fascismo. L’arrivo del Rex è sublime invenzione: con la sua menzogna dà sostanza e verità al potere attrattivo dei sogni.
LA CRITICA «Il film funziona anche sul piano del puro e semplice spettacolo e che tutto vi è al proprio posto» (Callisto Cosulich, Paese sera, 1973).


Il Casanova di Federico Fellini (1976)
SINOSSI
Ormai vecchio, Giacomo Casanova (Donald Sutherland), bibliotecario del Conte di Waldenstein, ricorda le avventure, gli incontri e gli amori della sua esistenza. Una lavorazione tribolata (compreso il furto del girato) per un grande film di ambientazione settecentesca. Oscar per i costumi a Danilo Donati.
ZOOM La voglia coltivata da anni di fare un film sul burattino Pinocchio si insinua nella ideazione del Casanova felliniano. Nel finale che commosse Borges, il libertino danza con la bambola-automa. Tra gli entusiasti lo scrittore Simenon: il film è di «una profondità inaudita». Il poeta Andrea Zanzotto traduce in dialetto veneto la poesia La mona di Guerra.
LA CRITICA «Un emozionante esempio di arte onirica, non illustrativa di contenuti, cabalistica e avanguardistica» (Tullio Kezich, Panorama, 1977).


Prova d’orchestra (1979)
SINOSSI
Un’orchestra durante una prova si ribella contro il dispotico direttore (Baldwin Bass). Caos e anarchia vengono sedate da una grossa palla nera che sfonda una parete. Tra polvere e macerie la prova può riprendere. Un film per la televisione, di produzione Rai, che per la sua natura si prestò a diverse letture politiche.
ZOOM Film che matura dopo il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro, che lasciano un segno forte in Fellini. Cercherà però di smorzare il clamore associato alle letture politiche. Tutto girato in un’unica scena, l’interno di un oratorio ideato da Dante Ferretti, nel finale vi echeggia la morale del Candide di Voltaire.
LA CRITICA «Il film è uno specchio del caos nel quale ci dibattiamo affannosamente, senza sapere come uscirne» (Costanzo Costantini, il Messaggero, 1978).


La città delle donne (1980)
SINOSSI Il sogno del cinquantenne Snaporaz (Mastroianni) che scende dal treno per seguire una signora conosciuta in viaggio e che si ritrova ad un convegno di femministe. Incontra Katzone (Ettore Manni) irriducibile maschilista e ripensa ai suoi rapporti con le donne. Il film segna il ritorno di Mastroianni e l’ingresso di Luis Bacalov, in sostituzione dello scomparso Rota.
ZOOM Il femminismo irrompe nel cinema di Fellini, che prosegue la propria esplorazione del femminile, e del maschile, entrando per così dire nella gabbia delle leonesse. Le femministe non gradiscono. Nelle figure di Snaporaz e di Katzone l’eroe maschile è però ai minimi termini.
LA CRITICA «Se nel film latita la suspense per la storia o per gli ingredienti […], c’è la suspense delle immagini e delle trovate sceniche» (Giorgio Carbone, La Notte, 1980).


E la nave va (1983)
SINOSSI
La nave Gloria N. salpa nel 1914 da Napoli portando le ceneri, da spargere in mare, della cantante Edmea Tetua. Cannoneggiata dagli austroungarici, affonda con i suoi eterogenei passeggeri, eccetto il giornalista Orlando. David di Donatello per regia, sceneggiatura (Fellini e Guerra), fotografia (Rotunno), scenografia (Ferretti).
ZOOM Il lutto, la catastrofe, ma nel finale un barlume di speranza affidato a un… rinoceronte. Dopo il mostro marino de “La dolce vita”, di nuovo una apparizione animalesca e si scatenano le interpretazioni. Fellini dissacra: «Lo sapevate? Il rinoceronte dà un ottimo latte». Nel cast anche Pina Bausch.
LA CRITICA «Lo stile al quale Fellini ricorre stavolta non è l'esuberante grottesco […]. È lo stile dell'iperrealtà» (Giovanni Grazzini, Corriere della Sera, 1983).


Ginger e Fred (1985)
SINOSSI
Due ballerini (Masina e Mastroianni) che non si vedono da anni, celebri negli anni ’40 per l’imitazione di Fred Astaire & Ginger Rogers, vengono invitati a partecipare a una trasmissione televisiva, per rinvendire i fasti del passato. Non solo un’invettiva contro la tv commerciale ma in generale sul consumismo. Straordinari i falsi spot, inseriti nel film.
ZOOM «Ed ecco a voi Ginger e Fred!”». È l’entrata in scena sotto le luci della ribalta. Ma appena inizia lo spettacolo all’improvviso si spengono le luci: nel buio si svelano le verità. Quando i due vecchi artisti riprendono a ballare l’esibizione è (quasi) perfetta.
LA CRITICA «Una riflessione selettiva e visionaria sulla società dello spettacolo in cui viviamo». (Morando Morandini, Il Giorno, 1986).


Intervista (1987)
SINOSSI Una troupe giapponese giunge a Cinecittà per intervistare Fellini. Il regista ricorda quando giovane giornalista arrivò agli stabilimenti, accompagna la troupe nei teatri di posa e fa incontrare nuovamente la Ekberg e Mastroianni. Prodotto da Rai1, vincitore del festival di Mosca. Sergio Rubini veste i panni del giovane Fellini.
ZOOM Dal tocco della bacchetta magica ritornano dal passato le immagini de La dolce vita. Ma in scena va il tempo che trascorre. Indiani all’attacco nel finale – il film filma le riprese di un film – al posto delle lance appaiono tante antenne televisive.
LA CRITICA «Filmato sulla realtà, il film finisce per essere una delle fantasie più libere scaturite dalla mente del suo autore» (Tullio Kezich, Panorama, 1987).


La voce della luna (1989)
SINOSSI
Il girovagare per la campagna del mite Salvini (Benigni), che insegue sogni d’amore e incontra Gonnella (Villaggio), paranoico prefetto in pensione. Ispirato a “Il poema dei lunatici” di Ermanno Cavazzoni (anche sceneggiatore), l’ultimo e sconsolato film del maestro riminese, che chiude invitando al silenzio.
ZOOM La luna è prigioniera, i giovani si scatenano in discoteca. In piazza si elegge Miss Farina. Ma l’Aldina (Nadia Ottaviani) tanto desiderata da Salvini è solo una Gradisca involgarita. Vito, Susy Blady, Patrizio Roversi, Angelo Orlando: nelle parti minori brilla la nutrita tribù di attori comici italiani.
LA CRITICA «Un film leopardiano, casto e candido come i versi del poeta» (Vittorio Spiga, La Nazione, 1990).


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