Anna Rosa Balducci, bambini e nonni scoprono la città

Cultura

RIMINI. Nelle storie narrate da Anna Rosa Balducci pare esserci tutta la complessità dell’esistenza, «perché tutto quello che si narra viene dalla vita» ed «è solo un pochino aggiustato».
La professoressa e scrittrice riminese (classe ’52) – che in passato ha firmato diverse raccolte di racconti e tre romanzi – torna con “Storie nella città” (ed. Il Ponte Vecchio, 2020), testo che, attraverso tredici diversi racconti, accompagna il lettore attraverso un mondo popolato di nonni sornioni e bambini emancipati alla scoperta della città, pirati urbani e galline viaggianti, cani fedeli e marchingegni sibilanti, capricci richiusi in una scatola e partite avvincenti, amori ingenui e giardinieri supereroi.
Quello di Balducci è un universo in cui ordinario e straordinario si fondono in un unico affascinante magma narrativo in cui il dato stravagante irrompe nel quotidiano, modificandolo e offrendo prospettive e punti di vista nuovi, ma perfettamente coerenti con l’impianto narrativo scelto.
La raccolta accompagna grandi e piccini attraverso una narrazione in cui la vita si offre a trecentosessanta gradi e in cui i personaggi appartengono per lo più al quotidiano, ma non per questo sono meno prodigiosi o meno eroici.
Il testo si apre con “Storie nella città”, fiaba omonima al titolo dell’intera raccolta e – come suggerisce Anna Mazzavillani nella sua conversazione con l’autrice – «testo asimmetrico per lunghezza e registro rispetto alle altre storie», più adatte alla narrazione orale e accorata; si tratta di una fiaba in cui Balducci pone al centro l’ambiente cittadino che nelle altre narrazioni si fa più “sfondo di maniera” mentre qui è vero e proprio personaggio, attivo e sostanziale: in questo lungo racconto, che domina, abbraccia e anticipa gli altri, il lettore si mischia tra le file di due gruppi di scolari – venuti in città per assistere all’attesissima partita dei “G” conto i “C” – e inizialmente sbalorditi dall’immensità e dal grigiore della dimensione cittadina, una dimensione che però loro riescono a colorare e rendere vivida, palpitante e vibrante, ricchissima di incontri con nonni dediti al racconto e burattini che rimandano al “prima”, anziani cantanti quasi magici e anziane capaci di riannodare il filo che lega presente e passato, quel filo che diventa fil rouge per tutti gli altri racconti.
Sono storie da leggere prima di dormire, racconti che – pur mantenendo un legame forte e attivo con la modernità, evidente ad esempio in nonni perfettamente in grado di relazionarsi con lo smartphone – rimandano al passato, alla dimensione orale connessa al narrare, grazie all’utilizzo di un registro sognante, classico, a tratti quasi aulico nell’utilizzo di termini appartenenti al mondo arcaico e lontano delle fiabe popolari.
E così, come osserva Andrea Biondi nella sua introduzione al testo, «dietro ogni racconto c’è una musica, nascosta e lontana», dietro ogni racconto si percepisce il suono della voce di chi narra, un accompagnamento sonoro che inevitabilmente rimanda a immagini di storie lette innanzi al camino, di avventure narrate a bassa voce, di fiabe raccontate da sempre.
Il testo gode poi del sodalizio che da qualche anno lega l’autrice ad Antonietta Bellini (classe ’53), illustratrice e pittrice originaria di San Clemente e diplomata all’Accademia di Belle Arti di Bologna, con all’attivo diverse mostre personali e collettive, e capace di dar forma e sostanza alle storie scaturite dalla penna di Balducci. Le sue illustrazioni accompagnano ogni storia, riuscendo a suggerire intense emozioni attraverso la scelta di pochi colori e di tratti leggeri, puntini e schizzi delicati, che paiono scaturire dalla dimensione del sogno e al tempo stesso sono dotati di grande forza espressiva e potente suggestività.
“Storie nella città” si configura come un libro scritto per raccontare di noi, del nostro presente, tenendo però in considerazione quello che è stato, la tradizione del racconto così importante per il fanciullo che si nasconde in ognuno di noi, e così centrale nella percezione che del mondo ha Balducci quando afferma che «la parola disegna il mondo».

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