Angelini, i maghi delle chiavi chiudono dopo 73 anni

Rimini

In diversi hanno già iniziato a implorarli di ripensarci, ma la carta d’identità non fa sconti e a fine 2020 Pierpaolo e Riccardo Angelini chiuderanno il sipario su quasi un secolo di storia imprenditoriale di famiglia. La Ferramenta Angelini accoglie infatti i clienti in via Flaminia Conca da ben 73 anni, ma prima di mettersi in proprio il capostipite Pietro ne aveva fatti altri 22 da dipendente in centro e se ci aggiungiamo il quinquennio della Seconda Guerra Mondiale che fa da cuscinetto fra le due esperienze il conto è presto fatto. Cento tondi tondi.

Migliaia e migliaia di viti, bulloni e soprattutto chiavi vendute a intere generazioni di riminesi, osservando da dietro il bancone la società cambiare radicalmente pelle. Tutt’altro che in meglio in certe cose, come rivela proprio Pierpaolo, riavvolgendo il nastro dei ricordi.

La carta d’identità del negozio dice 73, è leggermente più ‘giovane’ di lei...

«Il babbo l’ha aperta nel 1947, subito dopo la Guerra. Prima aveva lavorato 22 anni da Guidi in città e poi ha deciso di mettersi in proprio. Da solo finché nel 1956-57 ho iniziato ad aiutarlo. Avevo 13-14 anni, di voglia di studiare ce n’era davvero poca e mi ha minacciato: “o vai sotto padrone o vieni a lavorare qui”. Mi sembrava più comodo farlo al suo fianco e ho cominciato. Poi, a metà degli anni Sessanta si è aggiunto anche mio fratello Riccardo e siamo andati avanti in tre per una quindicina d’anni: pian piano papà ha iniziato a lasciarci in mano l’azienda, poi nell’80 purtroppo è morto e abbiamo proseguito noi due. Nel 1984 abbiamo avuto la possibilità di ristrutturare il locale e abbiamo rimesso a posto tutto l’ambiente così come è adesso».

È dietro a quel bancone da oltre 60 anni: alla faccia della quota 100… Come sono cambiati i clienti nel tempo?

«Devo dire che purtroppo stiamo peggiorando di brutto: non c’è più competenza, la gente si è buttata troppo sulla tecnologia e non ha più manualità. Una volta in ogni casa c’era una piccola officina, un banco con la morsa e gli attrezzi. Adesso la gente viene a chiedere un chiodo grosso per appendere un quadro e quando gli dico che basta fare un buco con il trapano mi risponde che non ce l’ha».

La vostra peculiarità sono le chiavi, di tutti i tipi...

«Senza dubbio, un vero e proprio vanto, tanto da richiamare clienti anche da fuori regione per quanto erano ben fatte. E dire che il babbo era contrario alle macchine per realizzarle: era rimasto scottato dalle esperienza ante guerra. Ho dovuto insistere molto e nel 1966 abbiamo acquistato la prima: ricordo ancora che costava 190mila lire, l’equivalente di due stipendi di un ufficiale in Aeronautica. Pian piano ci siamo “intestarditi”, ci siamo messi a studiare le serrature, i cilindri, i componenti e ci siamo appassionati fino al punto da avere sei macchine. Ultimamente abbiamo lasciato un po’ perdere perché sono arrivate le chiavi elettriche da auto; ma in quelle da casa, blindate e da casseforti siamo stati imbattibili».

Quando chiuderete? E nella decisione quanto ha inciso il coronavirus?

«La pandemia non c’entra niente. Abbiamo superato le varie crisi e congiunture varie e abbiamo tirato avanti grazie al fatto che abbiamo sempre lavorato da soli, senza dipendenti, coadiuvati dalle mogli che a turno ci davano una mano. È arrivato il momento di chiudere perché oramai abbiamo la nostra età e due ragazzine da custodire. Abbiamo deciso di smettere per questione di tempo e anche perché alla fine non si pianta più un chiodo: la gente oramai è quasi tutta rivolta all’ e-commerce. Le spese grosse le fa attraverso internet e un negozio non può stare in piedi per quattro viti, un tassello e poco altro. Abbiamo già iniziato le svendite: a fine anno abbassiamo la saracinesca. Anche se abbiamo clienti che vengono da noi da 50 anni che ci chiedono di non chiudere e di non lasciarli».

E ora? Che cosa farà dopo una vita di lavoro?

«A 77 anni sarà il caso di godersi la pensione e curare qualche hobby. Andrò via un po’ di più in bicicletta e per riuscirci ho preso l’aiutino, una mountain bike assistita: ma vado per strada perché la bici sporca e non mi piace. D’altra parte qualcosa bisogna pur fare: sennò qui ci riduciamo alle corse verso il frigorifero…».

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