"Andar per erbe" riscoprendo le radici della cucina romagnola

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Sia chiaro, qui non si parla di foraging: «Questa è un’attività moderna legata a un rapporto comunque moderno con la natura in una scelta culturale che è diventata moda come, ad esempio, aromatizzanti di drink colorati, oppure salse per ricchi piatti di carne. Oppure, al contrario, fa riferimento a quell’utilizzo di erbe e germogli freschi in un contesto di diete salutistiche che, per quanto condivisibile dal punto di vista della salubrità, è tuttavia estraneo alla nostra tradizione culturale». Stefano Tellarini e Roberto Giorgetti, è evidente, preferiscono dirlo in un altro modo, più famigliare: “Andar per erbe”. Un’espressione che in Romagna ha voluto dire molto, per la cultura gastronomica popolare, per una cucina di sussistenza realmente povera ma creativa, per una sapienza in via di estinzione che i due, coadiuvati dalla signora Mara Manuzzi che però oggi non c’è più, la mamma di Roberto, hanno voluto mettere nero su bianco e salvare dall’oblio.

Il tesoro “gratuito” delle erbe

Un giacimento di sapori alla portata di tutti, gratuitamente, ancora oggi. Ma l’intento non è nemmeno quello di istruire didascalicamente nuove schiere di raccoglitori. Insomma, con il loro lavoro di ricerca e di scrittura Tellarini e Giorgetti non hanno voluto creare un manuale, non un atlante, non una guida: «La nostra ricerca vuole sviluppare il tema della tradizione romagnola di raccolta delle erbe spontanee fatta lungo i fossi, nelle pinete, ai bordi dei prati e delle strade da parte della povera gente di campagna. A nostro parere mancava qualcosa di specifico che raccogliesse, nella maniera che volevamo, gli usi alimentari relativi a queste erbe spontanee della nostra tradizione contadina romagnola. Volevamo porre a disposizione di tutti, dalle nuove generazioni a chi vuole solo mettere a fuoco ricordi lontani, tutto quello che queste piante ci possono raccontare delle condizioni sociali, materiali e tecnologiche, dell’epoca in cui “l’andare per erbe” era pratica corrente e diffusa nella cultura povera di Romagna».

L’agronomo e il cuoco

Stefano Tellarini racconta di un incontro “rivelatore” con la famiglia Giorgetti, titolare del ristorante Santa Lucia a Savignano mare. «In sostanza io per mestiere e lavoro ho sempre studiato e letto di erbe spontanee della Romagna, e con Roberto e sua madre ho visto la messa in pratica di quei saperi –racconta l’agronomo Stefano Tellarini –. Ci siamo conosciuti in realtà per altro, stavo lavorando su alcune varietà antiche vegetali e sul pollo romagnolo di cui Roberto era allevatore. Da quell’incontro è stata una continua scoperta di usi e preparazioni di cui avevo sentito solo parlare ma che nella sua famiglia potevo vedere ancora realizzati nelle pratiche quotidiane». Nella famiglia di Giorgetti metà erano mezzadri e metà erano pescatori, e molti li prese anche il mare. «Fatto sta che eravamo 12 figli di zie e sorelle che a un certo punto si ritrovarono tutte vedove e noi crescemmo con loro, imparando da mamme e zie quello che non era scritto su alcun ricettario, ma che le azdore conoscevano benissimo e con cui sostentavano famiglie numerose», racconta Roberto. Sua madre Maria era una di quelle azdore con una cultura enciclopedica ma per nulla didascalica degli ingredienti e degli usi anche della più semplice materia. Sentire raccontare di come si faceva la “conserva nera”, in pratica una spremitura di pomodoro che rappreso e fatto seccare in estate diventava nero e concentratissimo, poi veniva utilizzato tutto l’inverno per sughi e ragù e magicamente tornava rosso nelle pentole e nei tegami una volta reidratato, può generare un qualche stupore. Così come la spiegazione di quel che era detto salame di mare, seppie e calamari smontati e riempiti dei loro stessi pezzi, delle uova e di qualche scarto di altro pesce, legati stretti e bolliti in acqua, salatissimi e pepati. Sapori di cui la memoria diretta è sempre più rara, mangiari di un tempo che in parte sono stati raccontati in altrettanto rare quanto pregevoli edizioni, scritte anche con il contributo di Giorgetti come il celebre “Purazi, doni!” (Panozzo editore) compendio unico della cucina marinara bellariese.

«Abbiamo quindi deciso di colmare il vuoto lasciando a futura memoria una testimonianza di che grandi persone erano i nostri nonni, e soprattutto le nostre nonne – dicono gli autori della ricerca –. Queste, ci hanno lasciato un utile meraviglioso esempio, molto attuale e necessario, di come ci si possa “adongiare” per sopravvivere anche nelle situazioni più dure senza perdersi troppo d’animo». La dedica principale è ovviamente per la signora Maria, che questa ricerca, in larga parte composta grazie ai suoi ricordi e saperi, purtroppo non la vedrà stampata, ma ne resta comunque fonte e ispiratrice.

“Agli erbi dla Rumagna cuntadena”. Un agronomo e un cuoco e la sua maestra, la mamma che non vedrà questo libro ma che ha contribuito in maniera fondamentale a realizzare. Sono rispettivamente Stefano Tellarini di Cesena, Roberto Giorgetti e Maria Manuzzi di Bellaria gli autori di un ponderoso lavoro di ricerca sulle erbe spontanee e le tradizioni romagnole.
Una ricerca ricca di informazioni che nel frattempo alimenterà, nelle prossime settimane, una rubrica per le pagine di “Cibo”, con lo scopo di raccontare le erbe che in ogni stagione, questa più fredda compresa, si possono trovare nei campi, negli incolti, nelle passeggiate a margine di boschi e campagne. Tanti sono i cataloghi di erbe, i manuali erboristici, quello di Stefano, Roberto e Maria, va oltre il didascalico. “Agli erbi dla Rumagna cuntadena” parte dal racconto del ruolo tradizionale delle erbe nella mensa povera romagnola: riempire la pancia. Lo fa dipingendo anche un contesto rurale preciso, con i suoi usi, anche la presenza di certe suppellettili particolari della cucina, le modalità di scambio e relazione fra le persone e i vari ruoli nella casa e nella società agricola di un epoca che arriva grossomodo fino al cosiddetto boom economico. Si passa poi alla descrizione delle erbe di maggior tradizione in Romagna reperibili allo stato spontaneo, dalle più note come ortiche e stridoli, rosole, borraggini e radicchi, alle meno conosciute come aspraggini, barbe di becco, erbaglioni, eringio marittimo, “galline grasse”, e ancora zampe di gallo ed erba stella ... di ciascuna viene dato il nome dialettale, quello italiano e quello scientifico. Per passare poi, ovviamente, al loro uso alimentare, in una varietà di preparazioni che la dice lunga sulla creatività delle azdore. Non solo insalate, crude e cotte, ripieni per crescioni e tortelli, ma anche frittate, intingoli per le paste tirate a mano, frittate, frittelle, polpette, umidi e stufati...

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